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Arcipelago delle Bahama

5 Febbraio 2014 by Jimmy Pessina

L’incantevole scenario delle spiagge candide e del mare trasparente e la festosa atmosfera dei grandi alberghi stile Usa maschera la realtà contradditoria dell’arcipelago della Bahama: grandi finanzieri e clandestini haitiani, ville hollywoodiane e bidonville, paradiso fiscale e inferno della povertà. E la cultura indigena è sempre più soffocata dall’invasione dei turisti americani e non solo che ne hanno fatta la meta abituale delle loro vacanze. Nel centro di Nassau, a pochi passi da Rawson Square, la piazza dove meglio si riconosce la vecchia impronta inglese dell’ex colonia britannica, il molo Prince George accoglie le modeste barche da pesca degli indigeni insieme agli yacht da esposizione del turismo milionario. Poco più al largo muove lentamente uno dei battelli destinate alle crociere locali stracariche di festosi turisti, marca USA: passa ma senza fermarsi, di fianco a Potter’s Cay, l’isoletta sotto il ponte che conduce a Paradise Island dove la popolazione locale acquista frutta tropicale e pesce freschissimo e donne dalla pelle nerissima offrono conch, il mollusco simbolo dell’arcipelago appena sgusciato. Lasciata la capitale Nassau, le strade che conducono verso l’interno dell’isola di New Providence o corrono lungo le coste (Nassau si affaccia sul litorale nordoccidentale) presentano tipologie architettoniche non meno contrastanti e contradditorie. Ville stupende immerse nel verde e protette da fitte siepi, residenza estiva, e spesso definitiva, di ricchi e potenti, si succedono senza soluzione di continuità le casette color pastello con l’intonaco un po’ scrostato e il giardinetto con il bucato steso ad asciugare, abitate da famiglie meno agiate. E la bidonville fatta di cubi di cemento con il tetto in metallo circondati da un minuscolo cortile tra gli alberi di pompelmo e l’acqua potabile che arriva grazie a una pompa situata vicino alla porta. Ad abitarvi la maggior parte sono gli immigrati haitiani, spesso clandestini, stabilitisi alla Bahama nel corso degli anni.  Mentre il Gotha della nobiltà e del denaro si cimenta in una partita a golf su uno dei numerosi campi che si spingono fin sulla riva del mare, gioca a tennis in uno dei moltissimi campi dell’isola o si riposa sulla candida sabbia di Paradise Island, mostrando il volto più artificiale che ha questo paradiso dorato.
Bay Street, animato shopping center dell’isola, viale nel quale convergono e si diramano le strade e i vicoli di Nassau, ci mostra una realtà urbana fatta di problemi concreti, violenza, sporcizia criminalità, spaccio di droga e di tensioni sociali sorte dalla convivenza di tipi e razze eterogenee: dal rasta ai finanzieri bianchi, dagli immigrati haitiani ai turisti americani (una presenza fissa per tutto l’anno), alla popolazione nera di origine africana impiegata nel terziario o nella pesca. E nonostante i progressi economici conseguiti, troppo grande resta ancora il divario che separa la minoranza bianca, ricchissima, dalla maggioranza di colore. Per i proprietari delle ville di stile hollywoodiano rinchiusi nel loro ghetto d’oro che possiedono quasi un terzo della terra dell’arcipelago, così come i turisti del viaggio organizzato giunti in aereo da New York o da Miami o sbarcati da una delle navi da crociera che quotidianamente batto il mare caribico, la realtà resta quella di un luogo di sogno e di divertimento, un mondo incantato e festoso dove il tempo scorre indolente tra giochi soft e sport distensivi, in una sorta di Disneyland tropicale.  Per questo l’ambiente si è andato plasmando sui loro gusti e sulle loro richieste; così le centinaia di migliaia di turisti che ogni anno vengono qua in vacanza si ritrova a casa propria. D’altra parte l’arcipelago dista solo meno di mezz’ora da Miami e gli statunitensi possono accedervi senza passaporto. In effetti, è stile Usa: la lingua che si parla, che ha perduto l’inflessione inglese per assumere i caratteri dello slang americano, l’organizzazione dei servizi, tutti i prodotti importati, l’atmosfera stessa che si respira. Ogni cosa si paga in dollari Usa, le bibite sono servite in bicchieroni colmi di ghiaccio come a Manhattan, gli alberghi moderni, enormi, funzionali, stile “Holiday Inn”, hanno centinaia di stanze tutte con televisore, filodiffusione e l’aria condizionata sempre al massimo, e i casinò della città sono zeppi di slot machine spremute senza sosta da anziane signore che, come a Las Vegas, stringono in mano il tipico contenitore stracolmo di monete. Ci si diverte, dunque, ci si abbronza, e si torna a casa felice. Il gioco si ripete ininterrottamente tutto l’anno, riuscendo a soddisfare le più ambiziose attese del governo locale che, fin dai primi giorni dell’indipendenza (1973) ha cercato di propagandare l’immagine di safe paradise, un paradiso tranquillo, bucolico, fatto di lunghe spiagge di sabbia finissima e impalpabile incorniciate di palme lambite da un mare tiepido dalle mille sfumature di verde e blu, dove il sole splende tutto l’anno, interrotto da improvvise pioggerelle che tonificano colori e profumi e la vita scorre a ritmo di goombay, la musica locale. Alcuni appunti sull’arcipelago, i casinò ce ne sono due, uno a Paradise Island e l’altro a Cable Beach, pochi chilometri a ovest di Nassau.
Le slot machine sono accessibili 24 ore su 24, alla roulette e gli altri giochi dalle dodici alle 5 del mattino. Cay: questa parola, che si pronuncia come l’inglese key, deriva dal vocabolario indiano arawak cairi, che vuol dire “isola”, ma che in inglese ha assunto il significato di “piccola isola” e così, infatti, si chiamano quasi tutte le isole minori dell’arcipelago. Goombay: è il nome della musica di quest’arcipelago. Sebbene non sia del tutto originale, perché si chiama così anche alle Bermuda, il goombay della Bahama ha assunto con il passare degli anni una propria caratterizzazione. Potter’s cay: sull’isoletta proprio situata sotto il ponte che unisce Nassau a Paradise Island, si tengono il “Native Market”, un mercatino di pesce, frutta e verdura freschissimi, destinato agli abitanti del luogo. Andateci per assaporare un aspetto della vita quotidiana dell’isola e per vedere i pescatori che estraggono il conch dalla conchiglia. Spiagge: tutte le isole e i cay delle Bahamas sono circondati di sabbia bianca e morbidissima, bordate di palme e cespugli fioriti. Divertimenti: a eccezione del gioco d’azzardo ai casinò, le serate bahamensi sono tutte all’insegna della musica, da ascoltare e per ballare. Non mancano gli immancabili piano bar e alle discoteche di stile internazionale. I locali più autentici, però, frequentati dalla popolazione locale, sono quelli over the hill, il cuore originale della capitale. Il più noto è il “Casablanca”.
Testo e fotografie di Jimmy Pessina

Filed Under: Appunti Tagged With: mondo

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