Verdi colline dolcemente armoniose, alture completamente coltivate a vite e pettinate da migliaia di filari perfettamente ordinati, ondeggianti sui declivi ora morbidi ora più ripidi e scoscesi, le “rive”, con pendenze disagevoli, da viticultura eroica, si avvicendano a lussureggianti e fitti boschi.
È un paesaggio suggestivo che si svela orgoglioso nel suo alternarsi di terrazzamenti, erti filari e alture dominate da piccoli borghi e solitari casolari, imponenti castelli e umili pievi, segno inequivocabile dell’operoso intervento dell’uomo che ha plasmato questi terreni con fatica e rispetto.
È il fascinoso territorio del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene Superiore, generoso e ospitale, collocato tra le Alpi e la Laguna di Venezia, prezioso fazzoletto ricamato dell’Altamarca trevigiana lambito dal Piave che lo accarezza nella parte sud-occidentale, le cui colline “eroiche” sono iscritte dal 2015 nel Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ed ora giustamente candidate a patrimonio dell’Umanità UNESCO, racchiuse come sono in un ecosistema biologicamente sostenibile che principia dal XVIII secolo con lo sviluppo della viticultura europea e la razionalizzazione di pratiche tramandate di generazione in generazione, ne sviluppa alcune innovative e culmina con l’istituzione della Regia Scuola di Viticoltura ed Enologia del 1876, prima scuola enologica d’Italia, e della Stazione Sperimentale di Viticoltura ed Enologia del 1923 che hanno avuto il grande merito di diffondere in tutto il mondo le migliori pratiche enologiche tramite la massiccia emigrazione trevigiana partita da queste terre tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
Terra fascinosa che si manifesta con più sfaccettature, dalle pendenze collinari, che hanno dato lo spunto allo sviluppo vorticoso della viticoltura, con i filari di uva Glera che in breve tempo hanno coperto ogni punto coltivabile e che offrono al visitatore curioso degli straordinari colpi d’occhio, ai filari a “girapoggio”, veri e propri inni all’ingegno umano, che permettono di sfruttare al massimo le forti pendenze e pure i benèfici effetti dell’esposizione solare ma che a causa della fragilità del terreno, impediscono una comoda lavorazione con i macchinari e limitano alle sole attività manuali la faticosa gestione di quei luoghi impervi.
Una terra che ha visto, nel corso dei secoli, iniziali interventi agricoli da parte degli antichi Romani e poi dei monaci Benedettini creando i presupposti per il successivo sviluppo di quell’economia rurale basata esclusivamente sulla famiglia, sulle numerose “braccia” che dovevano essere d’aiuto nel duro lavoro dei campi e che sono state, e sono tutt’ora, il simbolo della tenacia del popolo veneto, in Italia e nel mondo.
Ma questi territori hanno anche affascinato artisti e grandi pittori rinascimentali sia locali, come Cima da Conegliano e Giorgione, sia provenienti dalla vicina Venezia, come Zuane Belin (Giovanni Bellini), il pittore ufficiale della Serenissima, o il suo successore, proveniente dal Cadore, il grandissimo Tiziano Vecellio, tutti incantati da quei paesaggi, dai panorami fatti di improvvise, profondissime e strette gole, da corsi d’acqua e laghetti, da fitti boschi e morbidi declivi, arricchiti da agglomerati di rustiche abitazioni, dai borghi, dalle splendide ville rinascimentali e dalle massicce fortezze, da pievi e abbazie, particolari molto presenti nei loro splendidi dipinti, veri capolavori paesaggistici.
E di capolavori pittorici è ricca anche l’architettura locale, con esempi da far rimanere a bocca aperta come a Vittorio Veneto, nel quartiere di Serravalle, conosciuta nel ‘500 come la “piccola Firenze del Veneto”, nel cui Duomo si ammira una magnifica pala dipinta da Tiziano o presso l’Oratorio dei SS. Lorenzo e Marco della Confraternita di S. Maria dei Battuti con affreschi del XV secolo raffiguranti, secondo i canoni della pittura gotico-devozionale, le Storie di S. Lorenzo e di S. Marco, gli Evangelisti, i Dottori della Chiesa e una mirabile Crocifissione. E sempre alla Confraternita dei Battuti si deve la magnifica sala, nel complesso del Duomo di Conegliano, ornata da un ciclo di affreschi dovuti a Francesco Pagani detto Francesco da Milano, molto attivo intorno alla prima metà del ‘500 nei territori della Sinistra Piave.
E se la pittura a carattere religioso è di particolare pregio, le chiese, i monasteri, le pievi e le abbazie sulle cui mura sono dipinti stupendi affreschi o nei cui interni sono custodite sacre tele e pale lignee, sono a loro volta veri capolavori architettonici, a partire dalla straordinaria Abbazia cistercense di Santa Maria di Follina, con un’incantevole chiostro dell’XI secolo delimitato da colonnine cesellate da motivi unici e con capitelli diversi l’uno dall’altro, o come l’Oratorio di San Virgilio a Col San Martino risalente ai primi del 1200.
Parlando invece di strutture civili, non si può non citare l’imponente Castello Brandolini a Cison di Valmarino, una fortezza del 1300 appartenuta tra gli al
tri al “Gattamelata” e che domina l’intera vallata, o il castello di Susegana, uno dei più vasti sistemi fortificati d’Europa, che ospita annualmente una importante manifestazione enologica o ancora quello di Conegliano che regala una vista che nei giorni più tersi può arrivare fino alla laguna veneta.
Un piccolo gioiello è rappresentato dal Molinetto della Croda (la “roccia” nel dialetto locale) a Refrontolo, un minuscolo mulino del XVII secolo ancora oggi funzionante, azionato da una romantica cascatella d’acqua e che ricorda le deliziose casette dei presepi.
In questo incantevole amalgama tra paesaggi, attrattive naturali, arte e storia, l’ospitalità e la buona tavola ricoprono un ruolo fondamentale: l’Altamarca trevigiana è anche un territorio goloso, che offre al viaggiatore curioso un’ottima cucina locale, un ghiotto patrimonio enogastronomico in un vero e proprio percorso del gusto che regala continue sensazioni gourmand offrendo antichi saperi e prelibati sapori a chi vuole ancora emozionarsi con gli straordinari piatti della tradizione tra i quali, oltre ai ricchi e corposi piatti a base di formaggi di malga, salumi, funghi e selvaggina, spicca il succulento “Spiedo d’Alta Marca”, quasi una religione per tradizione e storicità.
Lo spiedo è un modo molto antico di arrostire le carni, nato nella preistoria con la caccia e la scoperta del fuoco e ha mantenuto pressoché immutata la tecnica di cottura. In tempi più recenti è diventato sinonimo di festa e di convivialità poiché, per la scarsità di carni, il contadino si nutriva principalmente di verdure, erbe, legumi e formaggi da lui stesso prodotti o coltivati.
Oggi, grazie all’Accademia dello Spiedo d’Alta Marca, sono stati riuniti in un disciplinare i dettami e le tecniche per lo Spiedo perfetto, prendendo in considerazione la scelta delle carni, i metodi di cottura, le aromatizzazioni, la legna e le attrezzature: i pezzi regolari ed omogenei di pollo, costicine e ossocollo di maiale inframmezzati con lardelle non troppo spesse e foglie di salvia, la legna di carpino o di faggio accesa sette ore prima, gli schidioni sul girarrosto a circa 40 cm. dalle fiamme e tanta pazienza e cura per la lenta cottura, oltre cinque ore, controllandola con attenzione e sapienza, regolando la fiamma, salando le carni con giustezza per gustare infine tutti insieme “el spéo in tola”, lo spiedo in tavola, caldo e saporito, croccante fuori e morbido all’interno, che va servito subito perché come dice Leonardo Ricci, Presidente dell’Accademia, “…lo spiedo non è democratico, quando è pronto è pronto!” e il silenzio iniziale dei commensali intenti a degustare le carni è ottimo indizio della sua buona riuscita.
E così si compie questo rito culinario, capolavoro di gusti, profumi e aromi che, oltre al piacere della compagnia e del buon bere, è anche un piacere cerebrale, che coinvolge tutti i cinque sensi più uno: la memoria, la persistenza del ricordo che accompagnerà per sempre chi lo ha gustato.
Non è possibile parlare di cibo senza citare l’abbinamento con il vino, soprattutto il vino che è diventato il simbolo identitario di questo territorio, il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg che sviluppa, con l’omonima “Strada” costituita fin dal 1966 – la prima in Italia – un itinerario che porta a conoscere, oltre la fondamentale realtà ad esso dedicata, anche produzioni di nicchia come il Torchiato di Fregona Doc, il Colli di Conegliano Docg, il Verdiso e il Vin Santo del Prete di San Pietro di Barbozza.
Il suo successo internazionale, 90 milioni di bottiglie vendute nel 2016, ha radici antiche: la viticoltura locale era presente sin dai tempi dei romani ma il vero sviluppo si ebbe nel 1923 con la fondazione della prima Scuola Enologica d’Italia, dove nacque il metodo di spumantizzazione Conegliano Valdobbiadene, messo a punto da Antonio Carpenè. Da un territorio difficile da coltivare, ma affascinante, e dai vigneti di uva Glera in alta collina, con ripide pendici definite “eroiche”, dove è difficoltoso persino rimanere in piedi senza scivolare, si ricava un vino moderno, internazionale, aromatico, dal colore leggermente paglierino, di gradazione alcolica moderata, dai profumi di mela e pera, agrumato, con note floreali, morbido e fresco ma con una acidità vivace, perfetto sia come aperitivo sia a tutto pasto, che ha conquistato i palati di tutto il mondo, creando uno stile italiano del bere moderno, informale e allegro, apprezzato e amato in tutto il pianeta.
Riconosciuto DOCG nel 2009, è prodotto nei 15 Comuni ai quali appartengono le colline tra Conegliano e Valdobbiadene e tra questi si distinguono i cru, il famoso “Superiore di Cartizze” e i “Rive”, ottenuti da uve provenienti esclusivamente da un unico comune, e rappresenta l’eccellenza qualitativa dell’ampio mondo del Prosecco, prodotto esclusivamente nel Nord-Est d’Italia nelle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia.
E per meglio scoprire le mille sfaccettature di questo territorio e della sua enogastronomia sono previsti numerosi appuntamenti tra i quali il più importante è senz’altro la XXII “Primavera del Prosecco Superiore” che, come le edizioni precedenti, affiancherà l’enoturista da marzo a giugno prossimi con eventi, esposizioni, visite in cantina e mostre enologiche, concorsi fotografici e gastronomici, attraverso numerose tappe che permetteranno di degustare questo delicato nettare abbinato ai tipici prodotti della gastronomia del territorio, di percorrerlo con rilassanti passeggiate a piedi, a cavallo o con comodi tour in bicicletta, di vivere emozionanti momenti cult
urali e musicali in luoghi dall’atmosfera intimamente affascinante, godendo di perle paesaggistiche e architettoniche uniche, scorci di natura incontaminata e suggestive località intrise di storia e di eroismo.
Formidabili i dati dell’ultima edizione: 17 tappe, oltre 700 le aziende in mostra, circa 200.000 i calici versati e ben 60.000 le bottiglie acquistate, più di 300.000, infine, sono stati i visitatori e all’inizio di luglio, a chiusura di tutte le manifestazioni,
la “Notte Bianca del Gusto”, una serata speciale che ha ospitato la premiazione del Concorso Enologico Fascetta d’Oro, la più ambita per i produttori del Conegliano Valdobbiadene DOCG.
Inoltre, una rete di strutture ricettive costituita da dimore di charme e alberghi, agriturismi e bed & breakfast, ristoranti e locande, trattorie e osterie è a disposizione per calarsi in un’atmosfera di accogliente convivialità, per respirare e vivere in prima persona il fascino di un’area da scoprire a poco a poco, fatta di sentieri naturalistici che conducono a luoghi sconosciuti, incontaminati, grotte carsiche, eremi, malghe e piccole frazioni, ma anche di centri storici medioevali, importanti monumenti, chiese romaniche, splendide ville e fascinosi palazzi.
www.coneglianovaldobbiadene.it
Paolo Alciati