Hanno voluto darsi un nome che svela un segreto che segreto non è: “480 Gradi”. È l’esatta temperatura che deve raggiungere il forno a legna prima di ospitare la pizza napoletana, quella vera, con il cornicione alto, il simbolo di un’Italia che almeno su quello riesce a unificarsi.
Ma 480 Gradi è molto di più, è un concept che nasce con l’idea di rileggere le antiche e ferree regole della pizza partenopea, restituendo al piatto più diffuso del pianeta una digeribilità che un proliferare di impasti frettolosi e selvaggi, nel nome del business, avevano scordato totalmente. Prima di allora, mangiare la pizza, molti lo sanno, significava mettere in conto una notte di sete e qualche bruciore di stomaco.
E per i ragazzi di 480 Gradi, in giro si era visto a sufficienza: tre anni fa circa Roberto Noia, infaticabile general manager, e la sua squadra di soci (sono cinque in tutto), hanno prima messo in piedi “Granda Food”, la loro società, e quindi rilevato un locale a Bra, affacciato sull’ampia piazza XX Settembre, al civico 32/A. A loro, poco dopo, si è aggiunto Davide Finotti, giovane pizzaiolo iscritto negli elenchi dell’AVPN, l’Associazione Verace Pizza Napoletana, i custodi della tradizione, un sodalizio a cui si accede soltanto dopo aver imparato a fare la vera pizza, esattamente quella nata nei vicoli di Napoli qualche secolo fa.
Per 480 Gradi è iniziato da lì un lungo percorso di ricerca, che loro stessi ammettono non ancora terminato, mixando farine, ridando fiato ai tempi di lievitazione e a quelli di cottura (mai superiore a una novantina di secondi), completati da un’autentica caccia alle migliori materie prime, compresi molti Presìdi Slow Food, per restituire alla pizza onore e gloria, proprio in un momento storico in cui lo street food dilagante sembrava averla condannata ad appuntamento di fine anno per le scolaresche.
Niente di tutto questo, e 480 Gradi ne è la conferma: la loro pizza, anzi, le loro pizze, visto che l’elenco è piuttosto ampio e ogni mese aggiunge qualcosa, non lascia mai ricordi spiacevoli. Si mangia, magari anticipando l’arrivo della pizza con uno dei loro tanti fritti, altra specialità napoletana che tocca l’apice nel “cuoppo” di pesce.
Ma tornando alla pizza è difficile scegliere, visto che 480 Gradi spesso significa un flirt fra i sapori partenopei e quelli cuneesi. Ne è un esempio la “Gennaro di Bra”: una formazione mandata in campo con pomodorini vesuviani, friarielli e scamorza di bufala affumicata da una parte, e dall’altra completata da un tocco che più braidese non si può: la salsiccia di Bra, inimitabile. Così come la “Mastunicola”, riscoperta di quella che forse è la più antica pizza mai ideata da mente umana, a base di sugna di maiale nero casertano e conciato romano, un pregiato e saporito formaggio laziale.
Ma non finisce qui, piuttosto da qui è cominciato un altro percorso, fatto di eventi e partecipazioni. La scorsa estate, 480 Gradi ha “sfamato” gli ospiti della “Casa del Pop”, un evento musical-style di grande richiamo, come anche quelli altrettanto affamati delle ultime due edizioni della “Festa della Vendemmia”, ambedue ospitati presso le spettacolari tenute di Fontanafredda, a Serralunga d’Alba. E sono stati sempre loro, a sostituire per eventi a tempo i pizzaioli di “Eataly” Lingotto, in una sfida che esaltato tutti i presenti.
A questo, si aggiungono le due edizioni de “La Grande Pizza”, un evento mensile che di volta in volta ospita chef dotati di stella Michelin sul bavero, strappati alle loro cucine per diventare pizzaioli per una sera, liberi di esibire fantasia & maestria nel mettere la propria firma a pizze uniche e introvabili. Dai forni di Bra è passata gente come Ugo Alciati, Alessandro Boglione, Stefano Borra, Davide Palluda, Andrea Larossa, mentre altri ancora sono in programma.
È chiaro che un progetto così ampio, prima o poi fosse destinato a “figliare”: 480 Gradi è oggi in piena fase di moltiplicazione, con nuovi punti ad apertura continua (Trinità e Alba, le ultime due) e progetti di invasione che superano addirittura i confini italiani. Il resto, come si dice in questi casi, lo fanno i dati: difficile trovare un tavolo libero senza prenotare per tempo. Un motivo ci sarà.