
Il cinghiale era uno degli animali simbolici, tra i più presenti nella cultura dei Celti. I bardi, descrivevano nelle loro ballate come cinghiale e maiale selvatico fossero considerati il piatto più apprezzato, quello da cui veniva preteso il boccone da parte dell’eroe,che sceglieva fra le parti più nobili. È ancora viva questa tradizione lasciata dai Celti Boi sostituitisi agli Etruschi nelle città della dodecapoli etrusca di cui rimangono alcune tracce, fra le quali Velzna (nome latinizzato in Felsina), l’odierna Bologna, che si chiamò Bononia dal nome dei Boi: una delle tribù migrate dalla Gallia e insediatasi sulla sponda destra dell’Eidano, il grande fiume chiamato Padus dai Romani nella loro espansione. Parafrasando Orazio che nella sua epistola scrive Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio ( la Grecia conquistata conquistò il feroce conquistatore e le arti portò nel Lazio agreste) nel senso che Roma conquistò la Grecia con le armi,ma questa con le sue lettere riuscì a conquistare il conquistatore rozzo e incolto, i Romani appresero dai Celti Boi l’arte della lavorazione delle carni suine e della loro conservazione nella versione di salami a Bologna, con la superba mortadella, e di salumi a Parma:, famosa per i prosciutti nella zona che sale all’Appennino e i culatelli nella pianura che scivola nel Po..
Versioni sostenute anche da Riccardo di Corato: storico dell’alimentazione e scrittore di solida, brillantissima penna, autore di molti libri di successo, che nel suo libro ” le delizie del divin porcello” precisa: A proposito di sale, si può ricordare che salame e salume non sono sinonimi. La parola salume, a rigore, comprende qualunque alimento trattato col sale, sebbene nell’uso si sia ristretta ad indicare parti intere salate, ad esempio il prosciutto (e il culatello). La parola salame, al contrario è inequivoca: raccoglie ogni insaccato che contenga carne macinata.
La brezza marina che supera le creste dell’Appennino, caricandosi degli aromi dei boschi,accarezza le cosce dei suini suggendone i residui d’umidità fino a prosciugare completamente le carni in un processo che dà il nome al prosciutto. Termine composto dalla particella pro ed exsuctus, nel senso di succhiare interamente fino a togliere l’umidità. Un termine che dovrebbe limitarsi ad indicare il prosciutto crudo e non quello cotto. E’ quindi improprio indicare con il termine prosciutto cotto quello ottenuto dalla coscia di suino lessata che non è per niente prosciugata. Solamente la lingua italiana usa l’aggettivo sostantivato mentre nelle altre lingue si indica la coscia:a cominciare dai latini che chiamavano la coscia di suino perna per la sua somiglianza con un tipo di conchiglia, detta appunto perna, cruda o cotta, affettata e posta nel pane ( panis+perna) come ricorda ancor oggi la via panisperna a Roma. Panini citati dai tedeschi con il termine schinkenbrotchen dove compare il termine schinken invariabile, come invariabile è lo spagnolo jamon , il francese jambon e il milanese giambon: tutti termini che indicano la parte più apprezzata del maiale: la coscia sacrificata per ottenere il culatello Sul termine di questo sovrano della tavola vi è stato un ipocrita pudore da parte di epigoni del Tommaseo che avrebbe voluto che il termine “culo” mai apparisse negli scritti né risonar sul labbro delle persone, con buona pace di Catulllo e del padre Dante che lo avevano usato senza problemi. Sofisticazioni verbali che nascono da quell’ipocrita senso del pudore che ogni persona intelligente oggi ha già bandito dal proprio bagaglio intellettuale, come sostiene Giorgio Bernardini membro dell’Arcisodalizio, che precisa come questo particolare salume è conosciuto col termine culatello da almeno due secoli e mezzo, cioè dalla prima citazione esplicita sul documento del Comune di Parma del 1735 che riporta il termine ” culatelli senz’osso” che venivano anche chiamati ” culatelli investiti ” : infatti il termine investitura stava ad indicare quella particolare operazione di insaccatura in vescica e legatura con lo spago che si faceva anticamente su tutti i salumi insaccati per meglio tenerli uniti e rassodati e che l’immaginifico Gabriele D’Annnunzio definisce come ” salata compattezza suina”
Mario Soldati nel suo indimenticabile ” viaggio nella valle del Po”, diffuso dalla neonata televisione, intervistava i più singolari personaggi fra i quali il mitico Peppino Cantarelli a Samboseto che ha dato questa definizione : “per mangiare il culatello bisogna capirlo …. A tavola è un complimento , un lusso, come le ostriche, con una dolcezza che rammenta la polpa dei celebri molluschi, mentre il profumo invece di essere marino è fiumarolo e montanaro allo stesso tempo, tra la rosa e il muschio:” .
Per giungere a maturazione il culatello ha bisogno del caldo afoso e delle gelide nebbie della Bassa parmense tra la via Emilia e i paesi di Busseto, Zibello e Soragna, nella Bassa Parmense, delimitata a Nord dal Po,il Grande Fiume di Guareschi che qui diede la vita e l’esuberanza ai suoi Peppone e Don Camillo, a Ovest dall’ Ongina e a Est dall’ Enza.

Se il culatello affonda le sue radici nella memoria storica della cultura contadina, è proprio in questa zona che raggiunge la sua perfezione: nei casolari della Bassa parmense dove la tradizione mantiene viva la qualità di un cibo inimitabile, degno delle mense più raffinate, e dove è ancora possibile rivivere l’immagine della figura femminile che mostra le investiture di Parma rappresentate dal Mitelli oltre 300 anni fa. La prima citazione a me nota – scrive Riccardo Di Corato – risale alla Historia de la cità de Parma, redatta nel XIV secolo da Bonaventura Angeli. L’eccellentissimo culatello figurava fra le portate del banchetto che si tenne nel 1322 in occasione delle nozze fra Giovanna di Sanvitale ed il conte Andrea Rossi- il termine compare nel 1691 nel gioco di cuccagna disegnato dall’incisore bolognese Giuseppe Maria Mitelli ( 1634 – 1718) che individua in questo salume la specialità gastronomica di Parma.

Le “Investiture di Parma”, immagine tratta dal Gioco della Cuccagna, che mai si perde e sempre si guadagna, (1691), del bolognese Giuseppe Maria Mitelli, da molti interpretato come la prima rappresentazione nota del Culatello di Zibello.
La somiglianza di questa investitura con l’odierno culatello, sembra evidente almeno per quanto riguarda le dimensioni. È lecito chiedersi anche per quale ragione il culatello compaia prima nell’iconografia che in altri documenti; ancora una volta la risposta è da ricercare nell’eccessivo pudore degli scrittori nei confronti del termine.
Il culatello cos
tituiva un dono regale: il pegno che i sudditi fedeli facevano ai loro signori; del resto questo omaggio potrebbe essere carico anche di significato simbolico: uno scambio di “investiture”. Pur mancando conferme di questi episodi, risulterebbe che i Pallavicino avrebbero fatto dono a Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, di culatelli in uno scambio di ” investiture “.
tituiva un dono regale: il pegno che i sudditi fedeli facevano ai loro signori; del resto questo omaggio potrebbe essere carico anche di significato simbolico: uno scambio di “investiture”. Pur mancando conferme di questi episodi, risulterebbe che i Pallavicino avrebbero fatto dono a Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, di culatelli in uno scambio di ” investiture “.
Il Consorzio del Culatello di Zibello ha stabilito che la lavorazione può avvenire solo in una determinata e circoscritta zona ed esclusivamente nel periodo tra ottobre e febbraio, quando la Bassa è avvolta dalla nebbia e dal freddo. È in quel periodo che la parte di carne ricavata dalla coscia dei suini adulti, allevati secondo metodi tradizionali, viene decotennata, sgrassata, disossata, separata dal fiocchetto e rifilata a mano, così da conferirle la caratteristica forma “a pera”.
A queste operazioni seguiranno poi, dopo circa una decina di giorni, la salatura e la cosiddetta investitura, cioè l’insaccamento del salume nella vescica del suino e la legatura con lo spago che, dopo la stagionatura, dovrà risultare a maglie larghe ed irregolari. La stagionatura in cantina accompagna il Culatello dalle nebbie invernali all’afa estiva, per arrivare sulle nostre tavole l’inverno successivo nel pieno delle sue più originali qualità di sapore.
Il periodo di stagionatura è da un minimo di 10 mesi per le pezzature inferiori (almeno 3 kg) fino ad una media di 14 mesi per tutti i pezzi. La produzione annua è di circa 50.000 pezzi di Culatello di Zibello DOP

Eccellente arcisodalizio per la ricerca del culatello supremo
La provincia di Parma, solcata dalla millenaria via Emilia si divide in due zone: a sud la fertile pianura padana si estende racchiusa fra i verdeggianti colli che salgono verso gli Appennini, verso Nord scivola lentamente in braccio al fiume Po. Con queste parole Giorgio Bernardini dà inizio alla storia dell’Eccellente Arcisodalizio per la ricerca del culatello supremo e del gran culatello dell’anno, fondato nel 1987 come ampliamento della confraternita costituita nel 1977 da amanti del prodotto tipico parmense: il culatello; con lo scopo di recuperare e mantenere la tradizione culturale e gastronomica della civiltà di un particolare territorio la ” bassa parmense “, incentivando la continuità non solo della fama ma anche della migliore produzione di questo particolare salume.
Nel quadro delle attività dell’Arcisodalizio, si realizza la cerimonia annuale per il conferimento delle insegne ai migliori produttori di culatello della bassa parmense con la grande disfida per il culatello supremo e il gran culatello affidata a due distinte giurie

Non importa che sul motto che cinge il porcellino del simbolo dell’Arcisodalizio vi sia scritto: Ordo Magni Culatelli: Quæsivi et Nondum Inveni (…cercai ma non ancora trovai): la tenzone c’è e il premio bisogna pur darlo. La gara annuale dell’Eccellente Arcisodalizio per la Ricerca del Culatello Supremo si svolge nella fastosa sede della Rocca dei Principi Meli Lupi di Soragna. L’evento prevede la contesa al miglior culatello fra quelli presentati solo ed esclusivamente da produttori amatoriali, ovvero quei piccoli artigiani del maiale che seguendo la più rigida tradizione producono per lo più per amici e conoscenti pochi culatelli a uso esclusivamente privato. La cerimonia riservata a pochi invitati permette ai partecipanti di poter degustare una serie di culatelli artigianali di assoluto valore. Al termine della disputa solamente i membri paludati della giuria con la supervisione di un notaio che ne garantisca l’anonimato, assegneranno il famoso «Culatello Supremo».Un ulteriore premio, il «Gran Culatello» viene aggiudicato sulla base dei voti di tutti i partecipanti «laici».
Gianni Staccotti – giornalista gustonomo storico dell’arte di convitare – stanni@tiscalinet.it
26 Settembre 2012