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Vietnam: il paese conosciuto

11 Gennaio 2014 by Jimmy Pessina

Ci sono luoghi e Paesi che hanno perso la loro vera identità perché i fatti della storia i film e i libri che li raccontano li hanno caricati di altri significati. Sono diventati leggenda, mito, culto e in quanto tali sono stati parcheggiati in un territorio: quello dell’immaginario, dove a realtà è secondaria. Accade, in parte, per la Cina, New York, l’Isola di Pasqua. Accade specialmente per il Vietnam. Accade specialmente per il Vietnam. Cento anni di dominazione francese prima e la guerra vinta contro gli Stati Uniti d’America, poi hanno svuotato questo Paese di abitanti, cultura, storia per riempirlo, a seconda dei casi, o di foreste bruciate dal napalm e guerrieri in agguato oppure di dolci ricordi dove il profumo dei manghi e della salsa di pesce fermentato si mischia con quello del foie gras e del Beuujolais. Ora il Vietnam, con le riforme economiche, la fine dell’embargo americano, a sua voglia di farla finita con gli antagonismi politici e militari,per la prima volta nella sua storia si apre veramente all’altra metà del mondo, dove vale la pena di dedicargli un viaggio-verità. Non certo un pellegrinaggio culturale perché il Paese, fra i tanti sfregi, ha subito anche quello della spoliazione capillare di quasi tutto il passato artistico. Vasi, statue, bassorilievi, affreschi sono scomparsi sia dal sud sia dal Nord.
Il resto lo hanno fatto i bombardamenti e le stupidità che ogni guerra sa esaltare a dovere. Come quando, nell’agosto del 1969, un commando americano fece saltare con l’esplosivo la più alta torre di Mi Son, una settantina di chilometrica Danang, su cui i vietcong avevano installato un’antenna radio: era la più bella reliquia dei sovrani Cham che governavano sul Champa, l’antico regno hinduista poi fagocitato dai vietnamiti. Il turista che si sobbarca un disgraziato viaggio in fuoristrada verso Mi Son per vedere i 20 edifici Cham sopravvissuti dei 0 originali, potrà comunque godersi la struggente armonia che pervade tutte le vestigia degli imperi scomparsi. Chi va in Vietnam, non si aspetti, a parte la cittadella imperiale di Huè, meraviglie architettoniche ma, atmosfere, colori, contadini, botteghe, villaggi, semplici pagode uscite di peso da un passato massacrato e per questo paradossalmente naif, vero. La stessa Ho Ci Minh, l’ex Saigon, che pure tira da sola la volata al Paese verso la tappa della prima industrializzazione, ha, nel suo commercio alluvionale, i fascino del caos primordiale che prelude il trapasso da una civiltà al un’altra. Se il Nord, ai confini con la Cina, conserva i suoi picchi di roccia ricoperti di giungla e ipoveri villaggi di legno abitati dai Nung, a baia di Ha Long è un ginepraio di isole e grotte che si inseguono in un mare verdissimo. Ha Long in vietnamita vuol dire “drago che scende” e le rocce, con il dorso ricoperto da alberi contorti che assomigliano a una cresta ossea, sovrastano le oche barche dei pescatori quasi fossero animali preistorici improvvisamente e sorprendentemente balzati fuori dall’acqua. Ma è Hanoi, la capitale del Vietnam, ha conservare tutto il piacevole charme di una città di chiara impronta francese a cu si è sovrapposta la rigidezza politica di un regime di guerra. Hanoi è parecchio dèlabrée, sfatta ma la facile topografia disegnata dagli architetti di Parigi che imposero l’ordine architettonico coloniale (per far posto alla cattedrale di San Giuseppe fu anche abbattuta la pagoda Hao Thien) è visibile in controluce, come le nervature delle foglie attorno al Truch Bach, il Piccolo Lago, da cui furono sloggiate le abitazioni su palafitte:quartiere dele missioni straniere all’ovest, edifici amministrativi all’est, abitazioni residenziali a sud. A nord, invece, si stendono centuriazioni occidentali in terra d’Asia, le 36 strade che presero il nome di chi vi commerciava: via del Cotone, del Bronzo, del Pesce, del Ferro della Medicina tradizionale, dello Zucchero, dell’Argento, perfino del Piede di Maiale. Gironzolare per Hanoi è un’esperienza esaltante, un’immersione totale nelle profondità asiatiche. Eh sì, il Vietnam ora è cambiato: traffico, commercio e anche la gastronomia, dopo tanti anni di economia, di guerra (contro giapponesi, francesi, americani, cambogiani e cinesi) riscopre antichi sapori e piatti ricercati. Si calcola che nella sola capitale siano sati aperti almeno 500 ristoranti privati, compreso Le Beaulieu, il più ricercato di tutti, con menu tradizionale vietnamita.
Al 202 o al Cha Cha si possono gustare grandi granchi l sale e lumache alla francese, ma l’atmosfere più vera di un modo che riappare si scorge in alcuni angoli delle vie centrali dove vecchi pasticcieri di scuola francese vendono fragranti baguette e croccanti brioche appena sfornate. Anche la morale cambia e non può essere altrimenti in un Paese che sta mutando così velocemente pelle. Girare per il Vietnam significa imbattersi ossessivamente nei ricordi della guerra. Non occorre cercarli, ti vengono incontro ei visi asciutti e provati dei vecchi contadini, nei recinti perle oche fatti con i bossoli dei mortai, nelle cassette di ferro che contenevano le munizioni e che ora sono usate dai falegnami per conservare i chiodi. Si scende verso sud per visitare Dalat, la vecchia località climatica dei francesi sull’altopiano o per fare il bagno nelle baie oltre Danang, e si incontrano ancora, a quasi 4 anni dalla fine del conflitto, i i rimasugli dei blindati ch i vietnamiti, piccoli e tenaci trasformatori di oggetti di morte in occasione di guadagno, ancora non hanno digerito e riciclato. Un viaggio verso la pagoda Tay Phuong, una trentina di di chilometri da Hanoi, è l’occasione per mischiare cultura artistica e arte della cultura della vit. Una piccola deviazione e si arriva a Thuan Thanh, uno dei tanti ospizi dove vivono i soldati mutilati da 50 anni di guerre. Il contatto con i vietnamiti è sempre affascinante: cortese, discreto e gentile al Nord; vivo, sorridente e assieme sofferto , agitato, pieno di risentimento, disperato al Sud. Perché il Sud è u altro mondo, un altro pianeta. Cosa è oggi la città Ho Ci Minh? L’aspetto esteriore è quello di una città ancora tinta qua e là di caratteri tardocoloniali che stanno velocemente scolorandosi. Il suo clima atmosferico è più caldo di quello di Hanoi e quindi la natura è ancora più lussureggiante. Ma le case, i palazzi, le vie hanno conosciuto quella trasformazione in cemento tipica dell’industrializzazione e, ironia della sorte, il simbolo cinese dell’eternità presente dappertutto. La gente vive nelle strade invase da una fiumana ininterrotta di piccoli scooter che occupano completamente le poche auto che devono farsi largo suonano in continuazione il clacson. Tutto il Paese, a cui molti analisti predicono uno strabiliante futuro, conosce un Rinascimento economico e sta già cambiando velocemente. Entrateci, da viaggiatori, con il passo lieve e la mente aguzza. Da non perdere: la visita almeno di un giorno all’intero delle baie di Ha Long e Bài Tu Long, dove si trovano alcuni siti archeologici quale, Mè Cung e Thièn Long. La baia di Ha Long è un’insenatura situata nel golfo del Tonchino, si trova a 164 chilometri a est della capi
tale Hanoi, non lontano dal confine con la Cina. La baia, contiene una densa concentrazione di 1969 isole calcaree, ognuna delle quali ricoperta da una fitta vegetazione, che si ergono dall’oceano. Molte delle isole sono vuote, e contengono enormi grotte. L’isola di Hang Dau Go, contiene la più grande grotta della baia. My Tho o “La Città delle Erbe dal Buon Profumo”, è il capoluogo della provincia di Tien Giang, a nord del Delta del fiume Mekong. Circondata da fiumi e da immense risaie, da frutteti verdeggianti e da pacifiche fattorie, My Tho offre un’ideale sito per il perfetto relax ne Su del Vietnam. Dista da Ho Ci Minh circa 100 chilometri.
Foto e testo di Jimmy Pessina
02 Novembre 2013

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