Si chiama IrpiniAmo Food&Travel il progetto di promozione dei piatti tipici dell’Irpinia, antico territorio montuoso della Campania, che vanta una lunga tradizione gastronomica.

Nato da un desiderio dello chef Mario Carmine Solimeo, calabrese di nascita, irpino d’adozione alla guida del ristorante Potea Hosteria Hirpina, ristorante del centro storico di Avellino, con alle spalle una lunga carriera professionale, il progetto è l’estrinsecazione dell’idea di una riproposizione della cucina irpina autentica e verace che, attraverso i piatti, riesca a comunicare storia, tradizione e sapori delle ricette locali, come il baccalà alla pertecaregna, l’unico pesce possibile per gli abitanti dell’entroterra che usavano insaporirlo con i peperoni cruschi, peperoni rossi aromatici e dolci che, ancora oggi, vengono essiccati e fritti per pochi secondi in olio extra vergine bollente, divenendo, appunto, “cruschi”, cioè croccanti. Apparentemente semplice, la procedura è molto insidiosa: frazioni di secondo fanno la differenza tra un ortaggio ancora molle, o bruciato, dunque amaro ed inservibile o, se si è bravi, crusco!

La Maccaronata è un tipo di pasta fresca a base di semola di grano duro e acqua, simile ad uno spaghettone ma a sezione quadrangolare, che da sempre le massaie irpine realizzano a mano con l’ausilio di un matterello scanalato per un taglio a forma di un grosso spaghetto leggermente quadrato. Si condisce in tanti modi semplici, con fagioli, salsiccia, porcini, tipici di Bagnoli Irpino (AV), ma il condimento preferito, probabilmente anche più antico, è quello con il sugo “lardiato”, a base di lardo di maiale, immancabile nelle case contadine dell’epoca, più difficile oggi da reperire, invece. Ancora oggi, nel mese di Agosto, a Castelvetere sul Calore, provincia di Avellino, si celebra la Sagra della Maccaronata, accompagnata da canti e balli popolari.
Altro must della tipica cucina irpina, i Fusilli, un tipo di pasta fatta rigorosamente a mano, serviti in un tegamino; i Mugliatielli, antica pietanza pastorale a base di intestini di agnellino lattante che, dopo vari passaggi di lavaggio, vienearrotolato intorno ad un gambo di menta con alloro e fegatini vari.

Poi, tra le preparazioni a base di verdure, la poverissima “Minestra maritata”, rappresenta quasi un emblema. Il termine, coniato dalla cultura popolare locale, indica il “matrimonio felice” tra varie tipologie di verdura e di carne; il Mallone, nome dalla forma che assumono le rape strizzate dopo la cottura e che ricorda un grosso mallo di noce, è un altro piatto antico, a base di foglie di broccoli e patate insaporite con salsiccia o prosciutto e spesso accompagnato dalla pizza di graurignolo ovvero granone, frumentone o granturco.
Il progetto prevede un largo impiego di cereali, frutta, verdura, pesce con un utilizzo limitato della carne e dei latticini, nel rispetto anche della Dieta mediterranea, di cui Solimeo è grande cultore, senza disdegnare naturali commistioni gastronomiche, come le linguine di pesce azzurro abbinate al peperone crusco protagonista di molte preparazioni irpine.

Autoproduzione e visione ecosostenibile sono i cardini su cui ruota il progetto di cucina che prevede panificazione in proprio con farine da cereali locali e l’impiego di prodotti del luogo (a km 0), freschi e di stagione, come la cacio e pepe romana che diventa “irpina” con la sostituzione del caciocavallo irpino al classico cacio, il crostone del brigante col baccalà e il broccolo aprilatico di Paternopoli(AV), la “carbonara”, ma di carciofi e crema di caciocavallo o le orecchiette con il peperone crusco e tarallo napoletano.
La caratteristica è anche data dal modus operandi del progetto, organizzato come un vero e proprio ristorante mobile dall’attrezzatissima cucina, per condurre i sapori “di una volta”, troppo spesso dimenticati, nei borghi, nelle piazze, ma anche nelle abitazioni, nei giardini privati e nei castelli – l’Irpinia vanta ben 80 Castelli medioevali!, come quello organizzato il mese scorso nelle belle sale affrescate del seicentesco Palazzo ducale delle famiglie Pignatelli della Leonessa a San Martino Valle Caudina (AV), con piatti della tradizione in abbinamento ai vini (Antemide 2018 – Rosato aglianico e Tinci 2018 – Fiano )della Cantina Santiuorio, piccola realtà agricola di stampo artigianale dedita alla salvaguardia delle varietà autoctone ed alla valorizzazione dei vitigni secolari dell’Irpinia.

L’impianto originale del Palazzo, appartenente, ancor oggi, alla nobile famiglia Pignatelli, è stato, nel corso dei secoli, alterato da una serie di profondi interventi realizzati nel XIX secolo, che ne hanno stravolto l’originario progetto che prevedeva un’alta torre a base pressochè quadrata. Tuttavia, serba il fascino del portale dell’’ingresso principale, sormontato dallo stemma di famiglia, che si apre su un suggestivo cortile- giardino con peschiera centrale, ricco di rare piante ornamentali, il grande scalone di pietra che conduce al piano nobile superiore, preceduta da un portico a due campate, in cui una lapide testimonia i dazi che la famiglia percepiva per il mantenimento e la sorveglianza della vicina Via Appia.
Carmen Guerriero