
Lo si può considerare a ragione uno dei più importanti monumenti torinesi della ristorazione cittadina con i suoi 210 anni dalla data di apertura, anche se in effetti questa locanda – conosciuta già nell’800 come “Ponte Dora” – esisteva ben prima di migrare nell’attuale edificio nel 1815, poiché in un documento del 26 ottobre 1446 veniva citato l’albergo di San Giorgio, situato all’inizio della Contrada dei Pellicciai “… Esso stava presso l’antichissima chiesa di S. Pietro del Gallo; e sullo scorcio del secolo XV era tenuto da mastro Sebastiano di Collet”.

Per ora lasciamo momentaneamente da parte l’interessantissima storia del San Giors e le sue atmosfere d’antan, ma vi invitiamo prima di tutto a leggerla sul loro bel sito (www.sangiors.it/storia-torino/) e poi a verificare di persona il suo charme in questo locale intriso di fascino – locale storico d’Italia dal 2017 – passando un paio di ore serene tra buon vino e ottimo cibo.

E proprio del cibo vogliamo parlarvi, attraverso il loro nuovo menù primaverile: il racconto di un recente pranzo al quale siamo stati invitati per testare i piatti che lo chef Giulio Carlo Ferrero ha inserito in carta per festeggiare il cambio di stagione e dare il benvenuto alla primavera.
A scorrere la lista dei golosi piatti inseriti nella nuova carta stagionale si ha la sensazione di essere di fronte ad un menù con un crescendo beethoveniano…un vero e proprio “inno alla gioia”!

Il Vitello tonnato della tradizione è un morbido pezzo di girello di Fassone piemontese cotto perfettamente “al punto rosa”, e la salsa tonnata – rigorosamente senza maionese – è quella detta “all’antica”, come codificata da Pellegrino Artusi nella sua opera più famosa, “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiare bene“, definita universalmente “il Vangelo della cucina italiana”.
Incalza subito dopo una fresca Insalatina di gallina bionda piemontese con sedano ed emulsione alle noci, saporita e colorata come un dipinto degli Impressionisti con il bianco luminoso, il giallo intenso, l’arancione brillante, il verde in più sfumature, tanto esteticamente bella che anche Claude Monet avrebbe potuto inserirla nel suo bucolico Déjeuner sur l’herbe… da non confondere con lo scandaloso Le Déjeuner sur l’herbe di Édouard Manet, che aveva ben poco di campestre, ma molto di dissacrante.
Il Flan di carciofi con crema di spinacino è un altro tipico e sostanzioso antipasto piemontese, delicato il flan, gustosa la cremina verde.

Si passa ora ai primi con i Tajarin con crema di cavolfiori e mandorle, “home made” come tutta la pasta all’uovo di loro produzione, cottura giustamente al dente e, piccolo particolare molto apprezzato, le mandorle non sono le solite lamelle sottili che sanno di poco ma pezzetti croccanti che rendono il piatto ancor più gustoso.
Segue un piatto che è simbolo della cucina italiana, non solo piemontese: Pasta con pomodoro e basilico. Uno dei capisaldi della dieta mediterranea, rassicurante nella sua semplicità e complesso nella necessità di dosare perfettamente ingredienti che devono essere di assoluta qualità per creare quel momento di sogno tanto celebrato nelle pubblictà televisive: assaporare una forchettata di pasta con gli occhi chiusi, per poterla apprezzare senza distrazioni o influenze esterne…il massimo che si debba desiderare in un momento come questo!
Il Risotto al (o, meglio, alla) Barbera d’Asti DOCG con petali croccanti di topinambur è cremoso ma non all’onda per scelta di chef Ferrero, al dente comme il faut e con il simpatico “crunch”, come direbbe il comico piemontese Federico Basso, dei topinambur sottili come chips.

L’impegnativo, ma appagante percorso del gusto prosegue con un Petto di faraona alle erbe aromatiche con verdure di stagione. Un gran piatto, sorprendentemente tenero (in genere la faraona se è poco cotta rimane dura, se la si cuoce troppo risulta secca e stopposa) e di gran gusto, grazie alla cottura a bassa temperatura che ammorbidisce le carni e le rende succulente e succose.
La Guancia di maiale al Moscato d’Asti DOCG con cioccolato e mostarda di frutta senapata è un altro piatto che testimonia l’esperienza e la bravura di chef Ferrero – un “gigante buono”, vista l’imponenza, e davvero bravo a fare con umiltà e concretezza questo duro mestiere – che, ricordiamo, ha trascorsi in cucine prestigiose, dal Del Cambio al ristorante di Gualtiero Marchesi, dalla Vecchia Lanterna del grande Armando Zanetti ai Due Lampioni di Carlo Bagatin – due cuochi che hanno fatto la storia della ristorazione torinese -, da Villa Sassi al Principi di Piemonte passando per Villa Monfort e tanti altri.
Una carne ricca di collagene che con la lunga cottura rimane umida e tenera, scioglievole e gustosa, un piatto molto ben eseguito, con la dolcezza del vino in cottura, la piacevolezza del cioccolato e la piccantezza della mostrada senapata che creano un unicum di alta gastronomia ben accompagnata da un crouton di polenta preparata con mais Pignoletto rosso del Canavese, la più antica varietà di mais oggi ancora disponibile.
La Grissinopoli di sottofiletto di Fassone e granella di nocciole è un piatto esclusivamente sabaudo e si differenzia dalla costata milanese per la panatura fatta con i grissini torinesi sbriciolati grossolanamente, invece del comune pan pesto. La particolarità golosa di questo piatto è che, poiché vanno entrambe rosolate nel burro, la panatura del grissino è più consistente e di conseguenza assorbe più condimento e rimane più croccante.
Cosa non ci si inventa per soddisfare la propria gola!

Con la dovuta calma necessaria per gustare tutto quel ben di Dio si è arrivati al momento del dolce anzi…dei dolci.
Un trittico: Budino di Santa Vittoria, Tortino di noci con zabaione tiepido e Pere al Moscato con crema chantilly. Il cremino è tremolante, il che vuol dire che è preparato alla perfezione, col tipico profumo e sapore di arancia. Il tortino è morbido, molto buono e lo zabaione tiepido è un “confort food” non stucchevole. Le pere al Moscato con la crema chantilly riportano all’infanzia e ai grandi pranzi domenicali in famiglia con papà, mamma, nonni e bisnonni…momenti indimenticabili che si rivivono solo più nel cuore!
Una nota di merito va alla carta dei vini, ben assortita e, nelle tre tipologie di vini fermi, con proposte esclusivamente di produttori piemontesi, con prezzi corretti e per tutte le tasche. Interessante anche la proposta al bicchiere.
Un’altra bella idea è la valorizzazione dell’olio EVO piemontese con l’offerta di degustazione di crudités di verdure con tre differenti tipi scelti da una Carta degli Oli studiata insieme all’ASSPO – Associazione Piemontese Olivicoltori.
Infine, l’ultima notevole chicca, il San Giors è anche il primo Art Hotel di Porta Palazzo, un albergo con 13 camere (le Camere d’Artista) una diversa dall’altra, che ospitano opere e arredi di artisti locali e internazionali.
Il Ristorante San Giors di Torino è quindi molto più di un semplice locale dove mangiare: è un luogo dove si celebra la cultura gastronomica piemontese, che ha mantenuto intatta la sua identità, che offre piatti autentici e di alta qualità, che accoglie gente comune e gastronomi, celebrità e appassionati d’arte, un luogo in cui, come riportato sul loro sito, “Cultura, arte e storia si mescolano in un luogo unico nel suo genere che non ha mai smesso di affascinare per la sua semplicità, eleganza e cura dei particolari”.
Paolo Alciati & Enza D’Amato