La geografia assicura canyon selvaggi e una ricca collezione di spiagge, la storia ricorda un’antica civiltà di rara bellezza, la leggenda racconta avventure inossidabili.

L’Isola di Creta è ancora oggi un fascinoso mondo a parte che ha conservato tradizioni millenarie: un dedalo ricco di sorprese da seguire seguendo il ilo magico del mito. Se davvero, come dicono gli storici, il Mediterraneo va dal primo ulivo alla prima palma (da nord a sud), a Creta siamo già in un altro mare. E in un altro continente. Il sottile confine meridionale è un’ignara striscia di sabbia, sulla punta nord orientale dell’isola: Vai. E’ il palmeto che si è spinto più in alto nella rete convenzionale dei meridiani: il sogno esotico degli europei più conservatori. Vai è l’ultima spiaggia, più giù è già Africa. Così Monì Préveli, sulla costa sudoccidentale: lido di difficile imitazione.
Qui le palme scortano un torrente fino al mare. Si può stare sul bagnasciuga o risalire il ruscello, arrampicandosi poi sui massi e cascate. Gola profonda anche ha ovest, a Samarià, dove si può discendere la forra dall’origine, in montagna, fino alla spiaggia: qualche ora di sana marcia e una levataccia per i più pigri. L’avventura inizia con la xilòskala, la “scala di legno” che s’inabissa in una vegetazione alpina fatta di pini e fiori selvatici, dove solo le onnipresenti chiesette ortodosse in calce bianca tradiscono la natura mediterranea del luogo. Fino al punto più stretto, le Sideròportes, le “porte in ferro”, dove basta allargare le braccia per toccare le pareti del canyon. In alto, oltre cinquecento metri, la striscia indaco del cielo greco d’estate è il tetto della gola. Nei punti più impervi delle pareti di roccia si muove, in perfetto, difficile equilibrio, la cri-cri, la capra cretese. Ancor a occidente, Elafonìssos: e qui sembra di essere in Sardegna. Un promontorio di sabbia rosa allungato nel mare che richiede una tortuosa strada (alla fine sterrata) di avvicinamento, ma soddisfa le attese. Sulla perpendicolare, nella puta nord, Falàssama.

Una spiaggia dritta e lunghissima, davanti a un mare trasparente. Mitica. Pare infatti che una volta fosse un’isola e venisse calpestata dal passo pesante e indifferente di Polifemo, il gigante cattivo dell’Odissea. Lo ha affermato Tim Severin, accademico e esploratore inglese che si è imbarcato su un’antica galera e con rigoroso metodo scientifico ha ripercorso il viaggio raccontato da Omero.
Dall’altra parte di Creta, verso est e Aghios Nikòlaos, c’è Istro: una mezzaluna di sabbia troppo affollata di turisti, ma davvero irresistibile. Ancora due occasioni di mare sulla costa meridionale: Anghios Pàvlos, tra le più appartate, da conquistare con tante curve in macchina e una discesa libera a piedi in una scarpata di sabbia che deposita direttamente davanti al mare (la fatica vera è la risalita). E Màtala, con le caverne dove rimbalza ancora l’eco della musica hippy, che suonava quando le antiche tombe, scavate nella costa a falesia, erano rifugio spensierato dei figli dei fiori. Le escursioni a creta sono interne: ad Anòghia, alle spalle della costa settentrionale, dove d’inverno si scia e d’estate arrivano pochissimi turisti, in cerca di prodotti dell’artigianato di qualità (soprattutto tappeti, cuscini, coperte, borse tessuti di vivaci colori a mano); a Zaròs, nell’entroterra del litorale sud, dove gli ulivi cedono d’improvviso il passo ai castagni, le triglie di scoglio alle trote e il mare alla montagna.

All’altopiano di Lassìthi, disseminato di mulini a vento come un polder olandese ola Mancha di Spagna: antica e moderna centrale eolica che alimenta un’agricoltura minialista di olive, patate, fichi, mele e pere.
Oppure sono viaggi interiori a Cnosso, Festo, Kàato Zàkro, Arkadi, tra le rovine di una civiltà lontana anni luce e bellissima.
Basta entrare nel museo di Iraklion (dove sono conservati molti reperti originali dei siti archeologici) che come tutta la città ruota intorno a platia Eleftherìas, per immaginare come doveva essere stato bello vivere a Creta fino al 1200 avanti Cristo. In una società che non difende le città con mura di cinta, perché non pensa alla guerra, ma è tutta edita alla coltivazione dell’arte e della bellezza: e tra l’arte scolpita nel granito degli egiziani e l’arte di marmo dei greci preferisce quella degli affreschi e del gesso finemente lavorato.
Un trionfo di piante e animali dipinto sui muri che sembra illustrare la natura lussureggiante dell’Africa nera anziché quella di un’isola mediterranea: scimmie azzurre che colgono crochi di una rosa mai visto, pesci alati, tori con zanne di cinghiale, ali di farfalle che diventano corna di cervi e giaggioli che finiscono come fiori di papiro. Una flora e una fauna fantastiche che fanno da sfondo a uomini e donne dai corpi seminudi e allenati. Che in componibile contrasto tra gioia delle danzatrici a seno nudo, davanti al pubblico seduto sotto gli ulivi blu degli affreschi di Cnosso, e che i corpi trascurati dei turisti moderni esposti sulle spiagge.
Per ritrovare un po’ di poesia bisogna guadagnare il bastione di Martinengo, che chiude a sud la cinta muraria di Iràklion, spessa anche 15 metri, costruita da Venezia; dove le coppiette si appartano al tramonto e ai versi di Nikos Kazantzakis, incisi sulla tomba: Non credo in niente. Non spero in niente. Io sono libero.
Se l’archeologia ha riparato al museo di Iraklion, in loco sono rimasti qualche originale e tante copie. Suggestioni, soprattutto: a Festo più che a Cnosso. Festo ha due vantaggi: un terremoto in meno sulle spalle (quello catastrofico del 1570 avanti Cristo) e una posizione davvero invidiabile, con la vista che arriva fino alla cima nuvolosa del monte Ida e alla valle di Massarà. Un balcone inimitabile, soprattutto in primavera quando sboccia in un prato di anemoni violetti, rossi e bianchi, margherite gialle, giacinti e asfodeli. Il respiro del passato si avverte anche a Réthimnon, sulla costa settentrionale, dove i volumi imponenti delle opere di difesa veneziane sopravvivono accanto alle silhouette snelle dei minareti turchi (suggestivo il centro storico della città). E’ una delle poche pause concesse dalla speculazione edilizia del turismo dimassa, che ha colonizzato il litorale settentrionale, da Hanià ad Aghios Nikòlaos, passando da Iraklion.

Il fascino di creta rimane custodito lontano dei divertimenti chiassosi di questa zona, nascosto ancora nei dettagli quotidiani della vita greca di provincia. Ha scritto bene Mario Praz in “Viaggio in Grecia”: – mi piacerà sempre ricordarmi dell’insegna del Kapheneìon to Kanarini, il Caffè dei Canarini. Il nome degli uccelli figurava in giallo sospese alla tettoia erano una dozzina di gabbie di canarini. Il loro canto trillava per tutto il vecchio porto e l’acqua era più azzurra per quella nota di giallo -.
Il vero viaggiatore non dovrebbe perdere alcune visite tra queste, il Gran Canyon greco. E’ la gola più lunga d’Europa (16 km) e fa parte del Parco Nazionale di Samarià che comprende l’altopiano di Omalos e la forra vera e propria. Con 450 specie di piante è un paradiso botanico e richiede dalle 5 alle 7 ore di buona marcia con partenza subito impegnativa perché in due chilometri si scende di mille metri. Imperdibile la via dei monasteri dove si trovano arte, storia e panorami indimenticabili.
Infatti, Creta è ricca di antichi centri religiosi. Circa 4 km a nord di Aghia Triada si trova il monastero di Gouvernéto del XVI secolo: le sculture sul portale della chiesa raffigurano strane creature metà uomini e metà animali che ricordano i soggetti dipinti dall’olandese Hieronymus Bosch. Poco lontano s’incontra il monastero di Katholikò, fondato da San gionavvi nel X secolo, il più antico di Creta. La visita consente di apprezzare il panorama che si gode dalla penisola di Akrotiri. Circa 25 km a sudest di Arkadhi sorge l’omonimo monastero, macchia bianca ai piedi della catena di Psiloritis. Il soffitto senza tetto fa da contraltare al pavimento ben restaurato: la chiesa del XVI secolo in stile rococò è uno dei migliori esemplari di architettura veneziana sopravvissuta a Creta, mentre il museo racconta le gesta dei difensori della fede ortodossa. Infine, degno di nota è il monastero di Faneroméni, che si trova 18 km a nordest di Aghios Nikòlaos.
Testo e foto di Jimmy Pessina