È proprio vero che, a dirla banalmente con una frase fatta, non si finisce mai di imparare!
E se per imparare si deve passare attraverso momenti di assoluta piacevolezza, allora l’esperienza che ne deriva rimarrà fortemente impressa nel cervello e nel bagaglio mentale e culturale di chi l’ha vissuta.
Nel caso di cui scrivo, l’esperienza vissuta ha demolito una classica convinzione di tanti (lo ammetto, io ero tra questi): il Prosecco è un vino fragile, bisogna berlo giovane o per lo meno entro due anni dall’imbottigliamento. Niente di più sbagliato! Il Prosecco, anzi…il Conegliano Valdobbiadene Docg di Col Vetoraz, testato insieme a pochi fortunati colleghi nella sala degustazione panoramica che i tre soci Paolo De Bortoli, Francesco Miotto e l’enologo Loris Dall’Acqua hanno recentemente fatto costruire a 400 metri di altitudine sul colle da cui prende nome l’azienda, in una verticale storica che è partita da uno straordinario Millesimato 2006 per arrivare all’ottimo 2016, ha meravigliato tutti per l’evoluzione e l’integrità, per l’intensità e la raffinatezza.
E a giudicare dalle espressioni di stupore, dagli occhi che esprimevano piacevole sorpresa, dalle affermazioni e dai commenti di chi stava assistendo e partecipando ad un evento fino a quel momento assolutamente unico, questo incontro ha fatto ricredere tutti i presenti che, sicuramente, nell’immediato futuro guarderanno con occhi diversi questo vino che ha donato tanti spunti di riflessione e grandi apprezzamenti.
Si parte con i millesimati 2006, 2007 e 2008, dal colore dorato intenso, leggermente ossidati ma con profumi evoluti di canditura, scorza d’agrumi appassiti, camomilla, miele di barena con ricordi salmastri, frutta secca e liquirizia, in bocca grande acidità, glicerina e mineralità ancora evidenti. Avvolgenti e vellutati, con una grassezza che può ricordare lo Sherry, pur mantenendo ancora un sottilissimo ed elegante perlage e una persistenza aromatica che lascia un costante ricordo di liquorosa pasticceria candita.
Le annate successive ripresentano intensità olfattive che stupiscono, si ondeggia dalla dolcezza all’agrumato e man mano che si attenua il carico ossidativo del colore, avvicinandosi con le annate alla più recente, si sviluppano contemporaneamente i sentori floreali e fruttati, per arrivare al grande millesimato 2016 con mela, pera, pesca bianca di vigna – quella piccolina e leggermente acidula – ai massimi livelli gusto-olfattivi ma tutti, indistintamente, con il comun denominatore della piacevole acidità e del fin di bocca di lunga persistenza aromatica.
Una nota sui pari anno in versione dry: le annate più vecchie presentano una morbida dolcezza, quasi una carezza, ma anche una leggerissima ed intrigante nota affumicata e un delicato sentore di incenso e artemisia, quelle più recenti sviluppano ricchezza di frutta e fiori ed anche in questa versione l’annata 2016 si conferma una delle migliori del decennio, con grande intensità, eleganza ed equilibrio.
I complimenti nei confronti di Loris Dall’Acqua, l’enologo dell’azienda che ha condotto la degustazione, fluiscono copiosi da tutti noi per questa emozionante esperienza e conducono ad una sequenza di commenti positivi sugli orientamenti produttivi di questa azienda che fin dai primi anni ’90, con la creazione del “Col Vetoraz project” – ossia la scelta di imbottigliare esclusivamente DOCG legandosi al territorio per non rinunciarvi – ha impostato la produzione su un livello qualitativo elevatissimo, il 20% con vigneti di proprietà e il rimanente grazie a 65 piccoli produttori seguiti direttamente dall’ agronomo Paolo De Bortoli con linee guida per omogeneità di comportamento e con il 30% dei 16.000 hl. ricavati che viene rivenduto poiché non supera la rigida selezione per il raggiungimento del livello desiderato.
Loris spiega che la sua filosofia ha carattere semplice, basta “…seguire scrupolosamente un metodo che preservi l’integrità espressiva del frutto di partenza. Questo è l’unico modo per riuscire ad ottenere gli equilibri e le armonie naturali che la vite ci ha donato” – e prosegue ricordando che – “…i vigneti della zona pedemontana, che poggiano sui suoli composti da arenarie calcareo-silicee, sono i più vocati ed anche quelli con un microclima migliore”.
Ed è da questo profondo rispetto del territorio, unito ad un sapiente utilizzo delle tecniche produttive, che nascono dei vini che, stravolgendo radicate convinzioni, ci hanno stupito per questa longevità inaspettata e per l’elegante fragranza che ci ha affascinato ed emozionato.
Paolo Alciati