Tre è il numero perfetto secondo il pensiero di uno dei padri della matematica, Pitagora. E senza andare a scomodare le religioni o la totalità cosmica secondo la visione cinese (cielo, terra, uomo), tre sono le persone che danno un’impronta di alto livello al ristorante Opera a Torino: Carlo Salino, giovane sommelier di grande competenza, Gualtiero Perlo, maître dai modi eleganti e raffinati e, naturalmente, Stefano Sforza, executive chef nel pieno della maturità espressiva della sua arte gastronomica che applica la filosofia della scuola pitagorica anche nel numero degli ingredienti principali dei suoi deliziosi piatti…tre, appunto, ma anche nelle proposte in carta oltre ai percorsi di degustazione: tre antipasti, tre primi e tre secondi.
D’altronde sono tre anche i vocaboli che formano il nome del ristorante – Opera – Ingegno e Creatività – e, non a caso, l’opera dell’ingegno di carattere creativo è proprio l’oggetto tutelato dalla legge sul diritto d’autore. Ogni piatto infatti è un’opera unica, ripetibile in modo identico o in versioni diverse solo da chi l’ha creato, altrimenti è una mera scopiazzatura.
Il fil rouge del numero tre prosegue anche nella frase in home page del sito del ristorante in cui Stefano Sforza è protagonista e che sintetizza in modo preciso il credo che lo guida sin dagli inizi: “L’artigianalità è una sinfonia composta dalla mente, diretta dalle mani e suonata dal cuore”. La sua cucina, quindi, come officina del pensiero, della creazione e del sentimento.
E avendo ben in mente l’insegnamento del maestro Gualtiero Marchesi riassunto nella famosissima frase “less is more” – resa celebre dall’architetto Mies van der Rohe – lo chef ha creato un vero e proprio “manifesto” dello Sforza-pensiero: il menù “Opera”, in cui ogni piatto è realizzato con tre soli ingredienti principali che esaltano le acidità, le dolcezze e gli amari a lui tanto cari.
A ulteriore sostegno di questo concetto, c’è un pensiero tratto dalla Lectio Doctoralis dello stesso Gualtiero Marchesi, intitolata “LA MIA VIA”, in occasione del conferimento della Laurea Magistrale Honoris causa in Scienze Gastronomiche alla Facoltà di Agraria di Parma il 10 ottobre 2012.
Marchesi, descrivendo la bellezza, scrisse: “Il mio piatto più bello? Mi piacciono tutti. Ma la solarità del riso e oro trovo che sia svettante. È il piatto che meglio riproduce il mio concetto di bellezza. Essenziale, senza fronzoli”.
E infatti questo suo piatto iconico e di successo mondiale è realizzato proprio con tre ingredienti: riso, zafferano e oro. Appunto.
Lo chef Sforza, applicando il suo credo, ha impostato la sua cucina basandola su sapori ben distinguibili, utilizzando ingredienti perlopiù di territorio, come le verdure, che arrivano freschissime dall’orto chierese dell’azienda agricola della famiglia di Antonio Cometto – il giovane imprenditore proprietario del ristorante – o da un fidato contadino della collina torinese.
Gli ortaggi sono un’importante materia prima che Stefano ha voluto valorizzare nel corso degli ultimi anni con menù dedicati a un singolo vegetale, ricercando e sviluppando un percorso monoingrediente o per famiglie mirato a declinare di volta in volta il pomodoro, le brassicacee, le fabacee o leguminose, i carciofi, la zucca, gli asparagi e, in questi mesi, “Tuberi e radici”, l’attuale menù degustazione.
Per gli altri ingredienti, oltre ai prodotti italiani, Sforza ha un occhio rivolto ai sapori e sentori asiatici, ma senza esagerare…c’è sempre un equilibrio che rende i piatti godibili per qualsiasi palato.
Il menù “Opera” che abbiamo degustato si apre con gli snack di benvenuto: fragranti wafer fatti con la farinata di ceci cotta nello stampo del wafer, un delizioso cremoso di broccoli su cracker al prezzemolo, veli di sedano rapa con senape in grani e riso tostato, un insolito uovo farcito con ananas al barbeque, tuorlo montato e spuma di cavolfiore, una “crema assoluta” di parmigiano, barbabietola in carpione e goccia di Balsamico e una squisita oliva di cioccolato bianco all’esterno ripiena di tapenade di olive taggiasche.
Il pane è home-made, realizzato con due farine biologiche, lievito madre e 20 ore di lievitazione, le stesse farine utilizzate per i cracker di tipo norvegese e i grissini stirati a mano. L’olio in assaggio proviene dalla Liguria di ponente.
Accompagnato da un’ottima bolla di Alta Langa del 2019 di Marcalberto, Bieta, prugna e nocciola è l’antipasto vegetale che apre il menù Opera, un cremoso di bietola con le verdure saltate in olio alla nocciola; l’aggiunta di umeboshi, il condimento a base di prugne fermentate, dona sapidità al piatto che viene completato con acqua di nocciola.
Il gusto fresco e immediato del primo antipasto prepara il palato per la Capasanta, agrumi, finocchio, con il bivalve planciato e glassato con salsa ponzu e foglia di kaffir-lime dai sentori agrumati, tartare di capasanta condita con finocchi e bergamotto e agrumi pelati al vivo. Piatto splendido nella sua semplicità, davvero eccellente, di grande equilibrio, profumato e dalla bella acidità, ben abbinato a uno Chardonnay dalla terra di Borgogna, un bianco biodinamico di grande finezza, il “Pernand-Vergelesses 1er cru En Caradeux” 2020 di Domaine Pavelot.
Se la freschezza è il leitmotiv dei piatti fin qui assaggiati, che aprono all’ingresso della primavera, il successivo è un po’ più intenso; ce lo fa capire il vino che viene servito, il Roero “Anime” 2021 di Alberto Oggero, un Nebbiolo ancora discretamente giovane, ma già di struttura, che identifica e esalta il territorio da cui proviene, degno accompagnamento della Bombetta di maialino iberico, levistico, tremella. avvolta nel lardo di Arnad, salsa al Levistico – il sedano di montagna – e il croccante, insolito e sorprendente fungo Tremella che proviene dall’Este del mondo…dalla Puglia alla Spagna, passando per la Val d’Aosta e con una capatina in Asia.
Si torna al protagonista vegetale con il Tagliolino, avocado, lupini, pasta fresca fatta con il 50% di farina dei legumi stessi, due consistenze differenti di avocado e spuma di lupini. Colorato, esteticamente molto accattivante, al gusto è intrigante, appagante, ricco e di grandissima soddisfazione; particolarmente apprezzabile l’idea di utilizzare questo legume sempre poco considerato ma ricchissimo in proteine. Splendida intuizione per un primo strepitoso!
Per un grande piatto ci vuole un grande vino: il campano Fiano Riserva Clos d’Haut 2021 di Villa Diamante, note aromatiche, acidità e sapidità con una leggera nota fumé che affascina, e proprio per queste caratteristiche viene proposto anche per un altro primo piatto, che rende onore alla Sardegna: Fregola, bacche di mirto, seppia, la tipica pasta di semola sarda con quenelles di tartare di seppia, sentori di mirto, con crema e chips di inchiostro di seppia. Una raffinata alchimia di sapori, un’altra squisita proposta che ha un po’ mitigato il nostro incurabile “mal di Sardegna”, donandoci cinque minuti di felicità nel ricordo di quella terra meravigliosa.
Un piacevole intermezzo per preparare il palato al secondo piatto è dato dal Brodo di Giuggiole, ma questa volta non si tratta del liquore digestivo, bensì di un vero brodo, quasi un decotto accompagnato da un Longan o occhio di Drago, dal gusto simile al più famoso Litchis, ma meno aspro.
Preceduto da un Pinot di Domaine Amiot, il Morey Saint Denis 2020, bella espressione di uno dei vini di Borgogna più amati al mondo, ai nostri palati si celebra il classico “matrimonio d’amore”, come il grande Luigi Veronelli definiva il perfetto connubio cibo-vino. In questo caso la simbiosi è con il Piccione, banana, curry, la cui carne è presentata in tre consistenze: il petto è grigliato e poi passato al barbeque per arricchirlo di sentori affumicati, la coscetta ha una cottura confit con olio e aromi, il filettino è crudo e impanato nel panko e sono accompagnati da una salsa al curry berbero di provenienza etiope e molto speziato, delle banane in carpione e grigliate e chips di platano. Una delle migliori esecuzioni di questa selvaggina da penna che sta rivivendo una seconda giovinezza dopo qualche anno di stanca sulle tavole dei più grandi chef internazionali.
Il dolce Opera è un morbido tortino alle pere, tapioca, crema di sesamo nero e pere cotte in osmosi con melograno accompagnato da un calice di succo di melograno diluito con il MeMento, blend analcolico di acque aromatiche ottenute per distillazione da erbe della macchia mediterranea.
È il momento delle coccole finali, precedute da una bevanda al Carcadè, un piacevole infuso preparato dal bravo Gualtiero Perlo con arancia, limone, zenzero, cannella e rhum per concludere con il gelato alla vaniglia con mirtillo cotto nella Chartreuse, il gelée alla pesca, la frolla con marmellata di lamponi e panna cotta allo yoghurt, il bonet preparato secondo la ricetta ancestrale – prima che venisse aggiunta la massa di cacao – altrimenti detto bonet bianco alla monferrina e il bon-bon al cioccolato con coulis al frutto della passione che esplode in bocca con le sue note dolcemente intense, golose e acidule.
Tecnica assoluta nelle preparazioni, finezza negli impiattamenti (senza fronzoli, come piaceva a Marchesi) e garbo nell’attenzione al cliente sono altri tre elementi che completano questa splendida esperienza gastronomica alla quale bisogna aggiungere il fascino del ristorante con il calore dei mattoni a vista e delle volte a botte, l’eleganza dell’ambientazione e dell’illuminazione e la raffinata, pur se minimale, mise en place con un bel tovagliato che arricchisce i tavoli -rotondi e distanziati tra loro – senza dimenticare il primo impatto dato dalla cucina a vista addirittura dall’esterno del locale per mostrare, senza nascondere, l’operosità della brigata che si prodiga perché ogni particolare del pranzo o della cena rimanga impresso positivamente nella memoria.
L’ultimo plauso è per la carta dei vini. Tanta Italia – Piemonte, Toscana, Campania e Franciacorta in particolare – e non solo grandi cantine ma una minuziosa ricerca di piccoli produttori di qualità realizzata dal ferratissimo Carlo Salino in funzione dei piatti di chef Sforza con, a breve, un inserimento di vini biodinamici da abbinare proprio alla cucina vegetale dello chef che, inoltre, persegue una linea etica avendo bandito dalla cucina il foie gras e alcune tipologie di pesci a rischio estinzione (anguilla, rana pescatrice, cernia bruna, pesce spada e verdesca), oltre che alcune carni, e scelto di non utilizzare burro e panna tranne che in quantità ridottissime per i dolci e di abolire lo zucchero semolato per i trattamenti troppo invasivi che subisce.
Al termine di questo appagante percorso vi verrà consegnato il menù degustazione stampato su carta pergamena chiuso con ceralacca. Una ulteriore piccola carezza davvero molto apprezzata.
Opera – Ingegno e Creatività
Via Sant’Antonio da Padova, 3 – Torino
Tel. 011 1950 7972
www.operatorino.it
Paolo Alciati & Enza D’Amato