Dici “zeppola” e ti si riempie il cuore di dolcezza

Non solo perché la zeppola è il dolce simbolo dedicato a San Giuseppe, il papà per antonomasia e, dunque, della festa del papà, che dal 1968 ricorre il 19 Marzo, ma anche per la sua golosa semplicità dal morso irresistibile.Soffice, profumata e suadente di crema gialla, la zeppola è un guscio di delicata pasta bignè dal gusto neutro, con doppia farcitura, arricchita da una piccola amarena; uno di quei dolci iconici della ricchissima tradizione popolare napoletana, che valenti pasticcieri e brave massaie contribuiscono a mantenere prospera e felice.
A Napoli in tutte le pasticcerie, ma anche in tutte le case, le zeppole di San Giuseppe, fritte o anche al forno, sono un rito e non possono mancare a tavola. Come per la pizza, il segreto è sempre l’utilizzo di ingredienti genuini e di qualità, a favore di gusto e sapori autentici che ne fanno un dolce apprezzato in tutto il mondo.
All’estero gli chef italiani sono raffinati ambasciatori della tradizione tricolore, attraverso proposte di piatti e specialità che riescono a conquistare tanto i palati più esigenti quanto quelli più titubanti o diffidenti.

Claudio Chinali, napoletano d’origine, dal 2009 è Ambasciatore del Gusto ad Istanbul nonchè executive Chef italiano di Eataly Istanbul, famosa catena internazionale dedicata alle eccellenze agroalimentari italiane (https://www.turismodelgusto.com/tuttofood/cucina-italiana-e-dieta-mediterranea-in-turchia-con-claudio-chinali/), in questa santa devota ricorrenza propone le tradizioni della sua Napoli con le Zeppole di San Giuseppe’nin (Kızarmış) anche ad Istanbul, in Turchia, Paese straordinario che condivide tanta cultura con l’Italia ed ama le sue eccellenze.(https://issuu.com/asa-magazine/docs/asa15/88).
Rigorosamente fritta, le origini più persuadenti fanno risalire le zeppole alle ciambelle di frumento cotte nello strutto dell’antica Roma, che venivano preparate e consumate durante le celebrazioni dei Liberalia, cadenti il 17 marzo e dedicati a Bacco, da cui deriva anche il nome più verosimile serpula(m), per la forma di serpente attorcigliato su se stesso.
Anche nei rituali agrari di tradizione pagana, specie del Sud Italia, a maggiore vocazione agricola, la data del 19 marzo coincideva con la fine della stagione fredda e si usava festeggiare con vino e ciambelle fritte intorno a grandi falò.
Ma è nei conventi che la ricetta delle zeppole è stata perfezionata ed ha assunto la dimensione odierna: secondo alcuni pare si debba alle monache del convento di S. Gregorio Armeno, secondo altri a quelle di Santa Patrizia o, addirittura alle monache della Croce di Lucca o a quelle dello Splendore.

Di fatto, la prima ricetta scritta delle zeppole è quella del 1837 del trattato “Cucina Teorico-Pratica” del celebre gastronomo napoletano Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino: “Miette ncoppa a lo ffuoco na cazzarola co meza carrafa d’acqua fresca, e no bicchiere de vino janco, e quanno vide ch’accomenz’a fa lle campanelle, e sta p’asci a bollere nce mine a poco a poco miezo ruotolo, o duje tierze de sciore fino, votanno sempe co lo lanatiuro; e quanno la pasta se scosta da tuorno a la cazzarola, allora è fatta, e la lieve mettennola ncoppa a lo tavolillo, co na sodonta d’uoglio; quanno è mezza fredda, che la può manià, la mine co lle mmane per farla schianà si pe caso nce fosse quacche pallottola de sciore: ne farraje tanta tortanielli come solo li zeppole e le friarraje, o co l’uoglio, o co la nzogna, che veneno meglio, attiento che la tiella s’avesse da abbruscià; po co no spruoccolo appuntut le pugnarraje pe farle squiglià e farle venì vacante da dinto; l’accuonce dinto a lo piatto co zuccaro, e mele. Pe farle venì chiu tennere farraje la pasta na jurnata primma”.

A Napoli, lo “zeppolaro”, era un antico mestiere che è sopravissuto fino a metà del secolo scorso, esercitato nei vicoli del centro storico, dove, accanto al banchetto davanti alla bottega, venivano vendute le zeppole gonfie e dorate, appena fritte nell’olio bollente.
Anche Goethe, durante una sua visita a Napoli alla fine del XVIII secolo, restò colpito da questi artigiani del fritto, tanto da scrivere: “Oggi era anche la festa di San Giuseppe, patrono di tutti i frittaroli cioè venditori di pasta fritta… Sulle soglie delle case, grandi padelle erano poste sui focolari improvvisati. Un garzone lavorava la pasta, un altro la manipolava e ne faceva ciambelle che gettava nell’olio bollente; un terzo, vicino alla padella, ritraeva con un piccolo spiedo, le ciambelle che man mano erano cotte e, con un altro spiedo, le passava a un quarto garzone che le offriva ai passanti ”
Zi’ Paolo è ricordato come il migliore zeppolaro /friggitore napoletano nonchè inventore della zeppola “da strada”…altro che street food di oggi!
Carmen Guerriero