Finalmente un locale dove son stato d’incanto fin dal momento in cui sono entrato!
Sarò particolarmente pretenzioso, ma frequentando ristoranti e cuochi di buon livello durante l’anno, trovo sovente un particolare, un piatto, una situazione che non mi soddisfa completamente. Al ConFusion di Verona questo non è successo. E lo dico con grande piacere anzi, lo ripeto: finalmente!
C’era bisogno di un locale del genere in questa splendida città, anche se un ristorante così è perfetto dovunque.
Garbato, sofisticato il giusto ma senza arroganza, romantico senza scivolare nel banale, grazie all’originale contributo della poliedrica moglie del patron Italo Bassi, la russa Tatyana Rozenfeld, architetto e arredatore di interni ma con viso e savoir-faire da raffinata attrice, arredato con grande gusto e ricercatezza, senza eccessi e con qualche curioso allestimento, insomma…diverso da tutti gli altri!
E soprattutto diverso da quello che è stato il mondo di Bassi, per ben 27 anni chef del tristellato Enoteca Pinchiorri che lo ha preso poco più che ragazzino e lo ha curato e coccolato fino a farlo diventare il responsabile della loro cucina. Una formazione “sul campo” di altissimo livello.
Detto dell’arredamento, aggiungo che ho molto apprezzato la soluzione del bancone fronte cucina a vista, che permette, anche a chi non è solitamente avvezzo, di vedere come i piatti vengono creati, come si sviluppano e si completano nella presentazione finale. E poi, senza esagerare e disturbare troppo, si può dialogare con la brigata di cucina, vivere passo dopo passo l’evoluzione della cena, non solo la tua personale, ma anche il susseguirsi delle portate preparate per gli altri ospiti, per poter meglio comprendere quanto è complesso e snervante il mestiere del cuoco, che gode della soddisfazione altrui, ma ogni tanto soffre per la maleducazione di qualcuno.
Cosa che mi è capitata di assistere nella splendida sera della mia visita: un piccolo episodio, incomprensibile nella motivazione, che non vale la pena descrivere ma che mi ha fatto molto riflettere, perché il cliente che si comporta in modo maleducato agisce per puro egoismo (IO pago, IO pretendo, tu esegui) senza rispetto, senza pensare alle difficoltà che si affrontano per proporre ogni giorno un menù selezionando con attenzione il meglio di ciò che mette a disposizione il mercato, pur di offrire prodotti di qualità e sempre freschi per non abbassare il livello della propria cucina. In quell’occasione ho però potuto apprezzare l’educazione e la calma di Bassi, fossi stato al suo posto, con piena ragione come aveva, avrei reagito in modo del tutto diverso…complimenti per la serenità d’animo!
Ma torniamo alla cena, un menù equilibrato che accarezza con garbo la cucina orientale aprendo con un delicato “abbraccio di salmone, rapa e cetriolo” abbinato ad un calice di interessante champagne dal raffinato e finissimo perlage (ne hanno una grande selezione, è un loro fiore all’occhiello) e proseguendo con una stupenda sfera di petali di avocado, impreziosita dal caviale, che racchiude un morbido tesoro, polpa di granchio reale e quinoa, adagiata su una purea di mango emulsionato con “leche de tigre”. E qui la contaminazione è con la cucina peruviana dove il sedano, l’aglio, il pepe e lo zenzero, gli afrodisiaci ingredienti del “leche”, vengono mitigati dalla dolcezza del mango. Un piatto pulito, elegante e ricercato, semplicemente splendido!
Un calice di Perlé, grande espressione della Cantina Ferrari, mi introduce ad una “tartare di tonno con tuorlo d’uovo marinato alla soia, fiori di wasabi, capperi di Pantelleria e cipolla di Tropea all’aceto” in cui alla purezza del tonno si abbina un insolito tuorlo, ammorbidito dalla marinatura, con la piccantezza del wasabi, la sapida intensità del cappero e la morbida acidità della cipolla in leggera marinatura. Qui i sapori mediterranei si affiancano all’esperienza orientale, senza orpelli, solo freschezza.
Grande, nella sua semplicità, è il primo piatto “Spaghetti alla chitarra con vongole veraci, pane alla bottarga e crema di zucchine alla menta”, ben al dente, con le vongole croccanti, le saporite briciole di pane alla bottarga con la gustosa vellutata a legare e la menta a rinfrescare il palato. Sapori diretti, decisi, nessun arricchimento superfluo perché la grande cucina è rispettosa della tradizione.
Un piccolo appunto che riguarda il mio personale gusto: i piatti utilizzati per alcune di queste presentazioni sono molto belli, ricercati, di design e originali, ma preferisco la neutralità dei piatti bianchi perché trovo che più di ogni altro permettano di far apprezzare la pulizia gastronomica della presentazione e ne mettano in risalto i colori.
Alta scuola per “l’astice gratinato agli anacardi e coriandolo, con scaloppa di fegato grasso d’oca, purea di mele al frutto della passione e salsa allo zenzero” in cui si intrecciano la delicatezza del crostaceo e la grassezza del foie gras ripuliti dalla frizzante freschezza del ginger con l’acidità della mela a completare, mentre il Perlé continua ad assolvere degnamente il suo compito, lasciando la bocca pulita, pronta a ricevere nuovo piacere dalla creatività della cucina.
L’abilità dei cuochi che mi stanno di fronte è notevole, senza affanno creano piatti che suscitano spontanea ammirazione, ma quello che è assolutamente da apprezzare è la rigorosa pulizia che regna sui loro piani da lavoro, sollecitati senza tregua dalla lavorazione degli ingredienti e immediatamente ripuliti, regola molte volte disattesa in parecchi altri rinomati ristoranti.
Dolcezza, acidità, ricchezza di gusto e cremosità…è l’intensa sensazione del dessert, una “bavarese al latte di cocco, ananas caramellato, lime e gelato alla fava di Tonka” piacevolmente fresco, con il lime a dare brevi lampi di pulita acidità a mitigare la caramellizzazione dei cubetti di ananas. Il gelato è una golosa concessione che arricchisce il palato.
Ma non basta! Italo Bassi vuole lasciarmi un ulteriore ricordo di questa serata e le tre coccole finali sono uno sfizioso premio: il “Macaron al caramello salato”, il “Lolly pop al Sake e vaniglia” e il “Tartufo al cioccolato After eight” sono esercizi di stile che confermano, se mai ce ne fosse stato bisogno, la sua grande dimestichezza con gli ingredienti, con gli abbinamenti e i contrasti, curiosi ma mai azzardati, che completano il percorso di una memorabile esperienza in piena armonia con la scenografia di questo delizioso locale.
Paolo Alciati