
Scrutando quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace” [A. Manzoni], con gli occhi trasparenti di un bambino per dare un nome alle forme delle nuvole,si scorgono i cirri, lunghi nastri brillanti per i cristalli di ghiaccio che contengono; i nembi grigi portatori di pioggia e i cumuli di colore bianco o grigio con la base quasi orizzontale e la sommità a forma di cupola. Cumuli che nell’antico gaelico erano detti tarp da cui si vuol far derivare il termine trippa; in un significato analogico degli aspetti delle nuvole e delle interiora nella divinazione antica. in latino Cumulus dalla radicale ku indica turgido,nel senso di rigonfiarsi o incavarsi, essendo le due idee di cavo e di tumido fra loro inseparabili,perché quando una cosa è rigonfia all’esterno è cava all’interno. Ed in questo senso si può considerare il termine tedesco di butze: grumo e il francese di bosse: prominenza, ai quali si fa risalire il termine busecca con cui i lombardi definiscono la trippa.
A Milano la trippa è conosciuta e apprezzata con il nome dialettale di busecca, derivato dal germanico butze (viscere), da cui buzzo, nel senso di interiora di animali, traslato a ventre grosso, sinonimo di uomo panciuto e affidabile. “Di buzzo buono” sta a significare “di buona lena”: un epiteto che ben si adatta ai milanesi busecconi. Carlo Porta, nel suo Brindes de Meneghin all’osteria, scritto in occasione dell’entrata a Milano di Francesco I d’Austria, definisce ” buseccona” la sua consorte Maria Ludovica d’Asburgo-Este,figlia del governatore austriaco di Milano dove trascorse la sua gioventù fino al momento in cui sfuggì ,con i genitori all’invasione di Napoleone, andando a vivere a Vienna dove,appena ventunenne, sposò l’imperatore Francesco primo. Dopo la caduta di Napoleone, la Lombardia tornò sotto il dominio austriaco, nel gennaio 1816 l’imperatore Francesco I° decise di visitare Milano assieme alla moglie
Viva, viva la nostra Patronna Busecconna
Tant lée come nun,
che intuitù
de bellezza e virtù
per brio bacco le zed a nissun!
(Viva, viva la nostra Padrona – buseccona – tanto lei come noi, – che in quanto – a bellezza e virtù – per brio bacco – non la cede a nessuno.)
Alfredo Bracchi concluse la canzone
Lassa pur ch’el mond el disa con i versi
On bel piatt de busecca cont dent i borlott
On oss bus cont intorna el risott
E on litrott de quel bon cont on bel minestron
Fan content ogni milaneson.
Messi in musica da Giovanni Danzi, compositore dell’inno milanese O mia bèla Madonina.
Il dilemma busecchiano
Nella cavità addominale dei ruminanti tra l’esofago e lo stomaco si trovano : il rumine,il più voluminoso,che occupa da solo1/4 della cavità addominale e ha la forma di un grosso sacco rigonfio; il reticolo o cuffia,il più piccolo dei tre, di forma globosa al cui interno molti rilievi a forma di lamine si incrociano a formare una rete; l’omaso,di forma ovoidale fra il reticolo e l’abomaso( stomaco propriamente detto), si prosegue con la parte che prende il nome di centopelli, foiolo, per le numerose lamine della mucosa interna che gli conferiscono l’aspetto di un libro.
Busecca spesso si usa invece di trippa o fojoeu e viceversa: due preparazioni cucinarie che prevedono una versione in brodo: busecca e un’altra in umido: fojoeu (trippa alla milanese)

La busecca
Cesare Comoletti e Giovanna Falzone nel loro Dizionario gastronomico meneghino del 2005 consideravano la busecca come una minestra . A cottura ultimata,si serva la busecca con molto formaggio in piatti fondi su fette di pane francese. Ottorina Perna Bozzi nel suo libro Vecchia Milano in cucina conclude la sua versione della busecca che si adopera come brodo da zuppa, aggiungendola nei piatti in cui si è già preparato il pan francese affettato, con un po’ di pepe e molto grana grattugiato. Nella preparazione lombarda della busecca sono utilizzate parti diverse di trippa a differenza da quelle in uso in altre regioni che di solito contemplano un solo tipo di trippa ala massimo due. Le versioni sono numerose quanti sono coloro che la considerano come un simbolo dell’esser Milanesi secondo Marco Guarnaschelli Gotti che nel suo libro “la cucina milanese” sentenzia: la “busecca” è una; che però è un collettivo,dato che comprende diversi tipi di trippa. Ce ne vorrebbero quattro.: cuffia( quella che sembra un asciugamano di spugna), chiappa(quella spessa a nido d’ape),foiolo(o centopelli,quella a lamelle) e infine,colpo segreto,la ricciolotta o “francese” che si presenta un po’ come una giarrettiera da can-can..

Fojoeu
Un’altra versione della trippa, detta alla milanese,si ricava dalla lunga cottura in umido del centopelli e della ricciolotta e si presenta piuttosto asciutta con i fagioli bianchi di Spagna, o borlott, : detta foijoeu, dal nome della varietà preponderante della trippa centopelli.
Compendio delle preparazioni di busecca e foiolo
tratto dal libro di Marco Guarnaschelli Gotti: la cucina Milanese
Busecca per dieci persone:1 kg di riccio lotta o francese;1 kg di chiappa;500 grammi di cuffia;500 grammi di foiolo o centopelli. In una casseruola di rame far fondere 40 gr di burro unirvi 50 grammi di lardo di schiena,con la vena rosa, ben battuto,dopo 20 minuti par appassire una cipolla tritata senza colorire fino a quando diventa traslucida. A questo punto si mette nella casseruola la trippa tagliata a strisce larghe un dito trasversalmente al filo delle fibre e si rimesta fino a quando la trippa è entrata in comunione con la cipolla e sia ben insaporita. Si aggiungono una costa di sedano bianco e due carotine spezzettate,coprendo con brodo finché la trippa sia coperta per tre dita. aggiustare d sale e … attendere.
Da quando si à versato il brodo calcolare tre ore e mezza per la trippa di vitello e cinque ore e mezza per quella di manzo. Le fette di pane del tipo francese aspettano nelle fondine cosparse di grana grattugiato e di pepe bianco;versarvi sopra la trippa a mestoli generosi e umidi:la busecca è pronta!
Fojolo (foijoeu)</stro ng> con i fagioli per sei persone: tagliare trasversalmente alle fibre 1 kg di foiolo e a pezzi lunghi 8 cm 800 gr di riccia togliendo quel poco grasso attaccato.
Tritare una bella cipolla farla “palpare” in 50 gr di burro e tre fette di pancetta magra tritata e il grasso tolto alla riccia, aggiungendo due coste di sedano verde e tre piccole carote spezzettate. Far appassire le verdure per un quarto d’ora poi aggiungere il fojolo e coprire facendo cuocere a fuoco dolcissimo per una mezz’ora. A questo punto unire un mestolo di sugo di carne fatto con1/2cucchiaio di estratto sciolto in acqua bollente,controllare di sale,aggiungere la riccia e far cuocere per un’altra mezz’ora. Aggiungere quattro pomodori molto maturi, pelati e strizzati; ricoprire e dare due ore di cottura se la trippa è di vitello e tre se di manzo. Unire i fagioli lessati a parte e lasciarli cuocere insieme alla trippa per un’altra mezz’ora. Pepare e servire con l’aggiunta facoltativa e discutibile di grana grattugiato.
L’attento lettore non può non rilevare la presenza di pomodori e fagioli apparsi sulla scena cucinaria in epoche relativamente recenti, mentre nelle ricette antiche venivano impiegati i ceci e del pomodoro non se ne teneva conto.
Il pomodoro
La pianta del pomodoro, fu introdotta in Europa dagli Spagnoli nel XVI secolo, non come ortaggio commestibile, bensì come pianta ornamentale, ritenuta addirittura velenosa per il suo alto contenuto di solanina, sostanza considerata a quell’epoca dannosa per l’uomo. Tuttavia al pomodoro venivano attribuiti misteriosi poteri eccitanti ed afrodisiaci per cui aveva nomi diversi nei Paesi europei: love apple in inglese, pomme d’amour in francese, Libesapfel in tedesco e pomo (o mela) d’oro in italiano. Nel 1640 la nobiltà di Tolone regalò al cardinale Richelieu, come atto di ossequio, quattro piante di pomodoro, e sempre in Francia era usanza per gli uomini offrire piantine di pomodoro alle dame, come atto d’amor gentile. Un’altra versione,forse meno galante, considera che, proprio nel sud ell’Italia, dove giunse nel 1596,si ebbe il viraggio del suo colore dall’originario color oro, che avrebbe dato il nome alla pianta del pomodoro,all’attuale rosso,grazie a selezioni e innesti successivi.
Oggi, con l’eccezione dell’italiano, le vecchie espressioni sono state sostituite in tutte le altre lingue da derivazioni dell’originario termine azteco tomatl che persiste nel dialetto milanese tomatesa.
Scarsissima è la documentazione relativa all’uso alimentare: le prime sporadiche segnalazioni di impiego del suo frutto come alimento commestibile, fresco o spremuto e bollito per farne un sugo, si registrano in varie regioni dell’Europa meridionale del XVII secolo. Nel 1762 ne furono definite le tecniche di conservazione in seguito agli studi di Lazzaro Spallanzani che, per primo, notò come gli estratti fatti bollire e posti in contenitori chiusi non si alterassero. In seguito, nel 1809, Nicolas Appert, pubblicò l’opera L’art de conserver les substances alimentaires d’origine animale et végétale pour pleusieurs années, dove fra gli altri alimenti era citato anche il pomodoro. Ma è solo nell’Ottocento che il pomodoro fu inserito nei primi trattati gastronomici europei, Nel 1819 Vincenzo Corrado, nel suo Cuoco galante, offre la ricetta della pummarola farcita e soffritta; in una successiva edizione, del 1836, suggerisce l’uso della salsa. Come risulta anche da molte fonti Vincenzo Corrado usava il pomodoro nelle sue ricette già all’epoca della prima edizione del libro ne1773, ma senza mai abbinarlo alla pasta né tantomeno alla pizza! Fu Don Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, che nel 1839, inventò il felice matrimonio tra la pasta, soprattutto i maccheroni, e la salsa di pomodoro.
I fagioli
I fagioli dell’occhio, originari delle regioni tropicali dell’Asia e dell’Africa,dal gusto erbaceo, di colore bianco crema con un piccolo anello nero,detto “occhio”,erano coltivati e consumati dai Greci e dai Romani prima che arrivassero dall’America lle nuove varietà di fagioli, coltivati per la prima volta nel 1530 nel bellunese da dove i diffusero poi in tutta la Penisola. Fra gli ingredienti del foiolo alcuni cuochi indicano i bianchi di Spagna, i poeti i borlotti che hanno preso il nome “borlott” con cui i milanesi definiscono un uomo piccolo e grasso di forma tondeggiante come il fagiolo borlotto,appunto.
Variazioni sul termine Busecca
Francesco Cherubini nel suo vocabolario milanese italiano si sofferma sulle variazioni del termine busecca intese come budellame indugiando in diversi modi di dire : sentiss a rèscià su i busecca :rabbrividire. Il busecchin,di genere maschile indica un sanguinaccio insaccato nel budello (busecc) da cui ,per metonimia, il contenuto prende il nome del contenente.. Fra noi , annota il Cherubini, si vendono allacciati e acciambellati a lazz; per solito ogni lazz è composto da due ciambelle ( oeucc). Purtroppo le vigenti norme sanitarie vietano tale vivanda.
La busecca matta che, come indica i Delegato delllìAccademia Italiana della cucina, Dino Betti Van der Not “è una minestra dove la trippa non c’e’, ma che della trippa ha l’aspetto “: infatti è composta da una crespella tagliata a strisce sottili bollite in brodo ristretto. Infine la busecchina: che , secondo Ottorina Perna Bozzi , è costituita da castagne secche sbucciate ( i castegn pest ) bollite dolcemente in acqua, scolate e immerse in latte, che diventa rosa mischiandosi al sugo delle castagne. Tullo Montannari, profondo conoscitore delle tradizioni e del dialetto milanese,indica una precisazione sulla busecchina:minestra di castagne pelate ed essiccate al fuoco chiamate “peladei” appunto perché pelate. Dal latino pelare= togliere il pelo,non la pelle. La busecca non c’entra con le castagne. Gli svizzeri venivano a Milano a fare diversi lavori, a vendere polenta e castagne “pulite” e in antico tedesco “pulire” si diceva “butzen” (ora si preferisce puten)
Una continuità da non perdere
Bonvesin de la Riva, nella sua opera de magnalibus Mediolani del 1288 dà molte indicazioni sulla città di Milano
3/XIIII quante siano le bocche umane che abitano una città così grande lo calcoli chi ci riesce se lo saprà fare fino in fondo,arriverà,ne sono convinto alla somma di duecentomila,giacché serie e accurate indagini hanno provato con certezza che nella sola città si consumano ogni giorno,in media,milleduecento moggi di grano e anche più; e la verità di questa asserzione è garantita da quelli che fanno pagare ai mulini i tributi sul grano macinato.
4/XI e si noti che,come ho diligentemente calcolato con alcuni (quattrocentoquaranta) macellai,nei giorni in cui è permesso ai Cristiani di mangiare carne,si ammazzano nella sola città,circa settanta buoi. Con le carni pregiate erano disponibili anche le frattaglie che non venivano disperse, anzi ,alcune di esse, erano e rimangono fra i simboli della città.
È sintomatico rilevare come in una plaga ricca come quella lombarda si sia sempre riservato un’attenzione particolare ai prodotti poveri e di minor pregio, parte importante nella composizione dei piatti più caratteristici. La cucina milanese, in particolare, si esprime in alcune pre
parazioni che nobilitano i tagli meno pregiati. Note in tutto il mondo gastronomico sono la cassoeula, già posciandera, le polpette e i mondeghilli, i oss bus, la tempia (testa del maiale ) cont i scisger e la busecca, pre-colombiana cont i scisger e post-colombiana con i fagioli bianchi di Spagna o borlotti. Le ricette attuali prevedono fra gli ingredienti anche i fagioli ed il pomodoro utilizzati in cucina a partire dal XVII secolo, prima di allora i milanesi come mangiavano la busecca? Con i sciscer, termine derivato dal latino cicer per indicare i ceci in un connubio indissolubile, che aveva dato origine al detto milanese scisger e buell, per indicare due compari che andavano perfettamente d’accordo nella buona e nella cattiva sorte.
parazioni che nobilitano i tagli meno pregiati. Note in tutto il mondo gastronomico sono la cassoeula, già posciandera, le polpette e i mondeghilli, i oss bus, la tempia (testa del maiale ) cont i scisger e la busecca, pre-colombiana cont i scisger e post-colombiana con i fagioli bianchi di Spagna o borlotti. Le ricette attuali prevedono fra gli ingredienti anche i fagioli ed il pomodoro utilizzati in cucina a partire dal XVII secolo, prima di allora i milanesi come mangiavano la busecca? Con i sciscer, termine derivato dal latino cicer per indicare i ceci in un connubio indissolubile, che aveva dato origine al detto milanese scisger e buell, per indicare due compari che andavano perfettamente d’accordo nella buona e nella cattiva sorte.
Alcuni anni prima che Bonvesin de la Riva ,scrivesse queste cose , un anonimo notaio milanese redasse un atto del 1284(conservato all’Archivio di Stato della città di Milano) con il quale indicava la presenza di un berlochum: antico termine lombardo per indicare un luogo dove si mangia. Punto di sosta e di ristoro per i viandanti che attraversavano il guado sul fiume Lambro, al quarto miglio dell’antica strada consolare costruita più di due millenni fa per congiungere Mediolanum a Cremona Un’altra derivazione, molto vicina a questa, farebbe riferimento alla bautta che il Cherubini,nel suo vocabolario milanese italiano, indica :” specie di roccetto di seta nera e con trine a uso di maschera”e che le osterie esponevano per indicare che lì si faceva festa,nei periodi consentiti.il Bagutto conserva le tradizioni da 728 anni di ininterrotta attività: secondo locale al mondo,preceduto soltanto da un locale accorpato nel monastero St.Peter a Salisburgo: lo Stiftskeller che risale all’803, entrambi ancora in attività.
In quei tempi era attiva a Milano la Credenza di Sant’Ambrogio che raccoglieva la parte dinamica e produttiva degli abitanti della città. In epoca più recente è nata l’associazione culturale Antica Credenza di Sant’Ambrogio finalizzata alla conservazione,al recupero e alla diffusione delle tradizioni milanesi e lombarde e rivolta a chiunque,milanese o meno, voglia conoscere il passato e il presente di Milano. Operazione meticolosa orientata a riscoprire storia,lingua,arte,geografia,letterature,cucina,tradizioni e antichi mestieri che, persi o dimenticati col passare dei secoli, intende far rifiorire in strutture attuali e divulgare Un gruppo di persone amante della propria città, che vuole farla comprendere profondamente mostrandone aspetti che sfuggono,non solo al visitatore occasionale,ma allo stesso residente spesso convinto di conoscere tutto della propria Milano. Per questo le attività della “Credenza”sono mirate a comunicare agli adulti,naturalmente anche ai loro figli,l’importanza di un luogo,di un monumento storico in modo che possano viverli come parte essenziale del loro patrimonio culturale ambrosiano.
Gianni Staccotti – giornalista gustonomo storico dell’arte di convitare – stanni@tiscalinet.it
25 Luglio 2012