
Eppure i nostri anni ci hanno ormai abituato a qualcosa di rivoluzionario. Grazie alle immagini, infatti, molte parole sono diventate quasi superflue. Le distruzioni provocate da un cataclisma, la morte violenta di un uomo o un bacio appassionato visti in tv, sul computer o al cinema hanno travolto il nostro modo di comunicare. In questo senso la pubblicità è l’esempio più evidente di questa rivoluzione senza precedenti.
In molte campagne l’uso delle parole è stato semplicemente abolito. Del resto l’emozione si trasmette più facilmente con un’immagine che tutti possono immediatamente comprendere piuttosto che con una frase, magari complessa. Inoltre l’immagine è universale e non ha bisogno né di traduzione né di traduttori. Di conseguenza anche la parola ha subito un’accelerazione violenta.
Per rimanere al passo della forza dirompente dell’immagine la parola si è trasformata in concetto, in titolo, in slogan. Se a un nostro figlio o nipote gli si chiede come va e lui risponde “scialla”, questo significa molte cose insieme. Questa parola arabeggiante, di origine controversa, ma usatissima da gli under 30, più che una parola è un contenitore di stati d’animo, di emozioni, non necessariamente positivi e non necessariamente negativi.
La traduzione di “scialla” va supportata, per essere pienamente compresa, dalle espressioni del viso di chi la pronuncia. Nello stesso tempo “scialla” è un concetto omnicomprensivo capace di sintetizzare un discorso. Anche i media sempre più spesso rincorrono l’immaginazione, l’unica alternativa efficace dell’immagine. Ed ecco spuntare: “mani pulite”, “calcio scommesse”, “riscaldamento globale”, “furbetti del quartierino”, “films pulp”, “Milano da bere”, “Roma ladrona”, “cerchiobbottismo”, “metanolo” eccetera, eccetera…eccetera. Insomma la parola per difendere la sua dignità e la sua stessa sopravvivenza oggi cerca aiuto nei migliaia di collegamenti immediati che i nostri neuroni possono realizzare in un istante leggendo o sentendo un concetto. Una semplificazione linguistica che apre, però, un universo.
Un contenitore capace di sintetizzare vicende sulle quali sono stati versati mari d’inchiostro chimici, naturali o virtuali che siano. Questa rivoluzione è ormai nel Dna di ognuno di noi e non possiamo più farne a meno. Per farsi comprendere da sempre più vaste platee i comunicatori fanno spesso ricorso a parole che colpiscono immediatamente, senza spiegazioni e tanto meno approfondimenti. Ed è proprio in questa coda che si nasconde il veleno.
Siamo davvero sicuri che semplificare sia la cosa migliore da fare? A mio modesto parere una cosa è parlare correttamente e con termini comprensibili da tutti, altra cosa è semplificare ad ogni costo. Un esempio per tutti: “chilometri zero”. Questa espressione negli ultimi mesi è diventato un vero e proprio tormentone. Non c’è discorso “ecosostenibile” che non contenga questa espressione. Eppure “chilometri zero” non sono sinonimo di qualità e garanzia di attenzione all’ambiente.
Vi ricordo che potrebbero servirvi un bel piatto di spaghetti alle vongole, o una bella pizza al pomodoro rigorosamente a chilometri zero senza che voi siate felici. Se nel primo caso vi trovaste in un ristorante di porto Marghera e nel secondo in una pizzeria che innaffia i propri pomodori con le acque del fiume Sarno. Buon appetito.
Marcello Masi – Vicedirettore RAI Tg2 – marcello.masi@rai.it
01 Dicembre 2010