Pompei è un viaggio nella storia e nel tempo con quel fascino noir che solo una città cristallizzata nei secoli da un’eruzione vulcanica può vantare
Ancora oggi si prova un misto di attrazione ed inquietudine per la sua sorte.
Nel 79 d. C. una violenta eruzione del Vesuvio mise fine alla vita di questa vivace cittadina romana.
Fondata dagli Osci intorno all’VIII secolo a. C., era formata originariamente da cinque villaggi alle pendici del Vesuvio, unificati poi in uno, nelle vicinanze del fiume Sarno all’epoca ancora navigabile.
Grazie alla sua posizione strategica divenne ben presto un importante centro marittimo con un rinomato porto. La rilevanza commerciale la rese appetibile nei secoli prima ai Greci, poi agli Etruschi e infine ai Sanniti. Grazie a questi ultimi Pompei vide aumentare le sue mura, fino a raggiungere la sua massima espansione territoriale.
Infine, nell’89 a. C., la città venne conquistata dai Romani diventandone colonia.
Nonostante un forte processo di “romanizzazione” che raggiunse il suo apice con Augusto nel 27 a. C., lo stile di vita pompeiano non mutò radicalmente: nonostante la lingua ufficiale fosse diventata il latino, si continuava a parlare l’osco e il greco.
L’inizio della fine
Il 5 febbraio del 62 d. C. Pompei subì la prima delle sue sciagure. Un violento e premonitore terremoto causò numerosi crolli ma soprattutto diversi morti. I cittadini cercarono di riavviare le attività commerciali, ma il terremoto ebbe comunque un impatto negativo sull’economia della città. Le famiglie più abbienti decisero di trasferirsi in altre città e il commercio di conseguenza ne risentì.
Quando ancora i Pompeiani stavano ricostruendo l’urbe, la seconda e definitiva catastrofe si abbatté su tutto e tutti. La mattina del 24 agosto del 79 d. C. il Vesuvio eruttò dopo oltre 700 anni, ponendo fine alla vita di Pompei.
In meno di 24 ore fu ricoperta da più di due metri di materiale vulcanico e distrutta da tre colate di materiale magmatico e gas ad alte temperature ad alta velocità, con una pioggia di cenere che durò altri quattro giorni.
Morirono per le esalazioni del gas, investiti dai pomici eruttati o sepolti sotto metri di materiale vulcanico. Chi fuggì verso la spiaggia perì nel maremoto causato dall’eruzione e dai conseguenti terremoti. Pare siano state circa milleseicento le vittime, tra cui lo scrittore e naturalista Plinio il Vecchio, rimasto ucciso dalle esalazioni vulcaniche a Stabia dove si trovava per osservare il fenomeno da vicino e aiutare amici in difficoltà.
La devastazione fu tale che nessuno pensò di ricostruire la città. I resti, ricoperti di vegetazione, sparirono definitivamente per i successivi 1700 anni.
Solo nel 1748 iniziarono i primi scavi nell’area di Pompei per volere di Carlo III di Borbone che credeva di aver ritrovato Stabia. Nel 1763 però, il ritrovamento di un’epigrafe nella quale si parlava di Res Publica Pompeianorum fugò ogni dubbio.
Grazie agli scavi, oggi è possibile ammirare la maestosità di questo tornato a splendere e scoprire che tutto sommato molte cose che pensiamo moderne erano già state inventate 2000 anni fa.
Da non perdere
Il Foro di Pompei, la struttura che rappresentava il centro politico, economico e religioso edificato dai Sanniti, venne poi ampliato e ristrutturato dai Romani, i quali aggiunsero intorno al perimetro della piazza numerosi altri edifici. In epoca augustea venne costruito il porticato, rifatta la pavimentazione, eretto un tempio in onore di Augusto e restaurato il Macellum, utilizzato come mercato di carne e pesce della città, ma anche luogo di banchetti in onore dell’imperatore.
Pompei era una urbe con una vivace vita sociale ricca di teatri, strutture termali e palestre.
L’Anfiteatro è stato rinvenuto in una zona poco abitata e adatta ad ospitare questo gioiello architettonico dalla capienza di ventimila spettatori.
Altro importante luogo d’intrattenimento per i pompeiani era il Teatro Grande, nel quale venivano rappresentate commedie, mimi e pantomimi. Era a forma di ferro di cavallo, tipica dei teatri greci, e poteva accogliere circa cinquemila spettatori; fontane e ninfei ne decoravano tutta la zona intorno.
Il luogo di benessere più importante per i suoi abitanti erano le Terme Stabiane, il complesso termale più antico della città. Presentava al centro la palestra porticata a base trapezoidale, nell’ala orientale le stanze per il bagno divise per donne e uomini; il frigidarium (bagno con acqua fredda); il tepidarium (acqua tiepida) e il calidarium (acqua calda). Nella parte occidentale si trovano la piscina e due piccole vasche utilizzate dagli atleti.
Numerosi sono anche i templi eretti quasi tutti tra il III e II sec. a. C. poi ampliati e restaurati sotto la dominazione romana. Uno dei più antichi era costituito da un’area aperta dove sorgevano alcuni altari ed era dedicato ad Apollo, divinità più importante per i pompeiani, anche se con l’arrivo del culto di Giove perse d’importanza.
Pompei era anche provvista di necropoli che, come previsto dalle leggi romane, sorgevano al di fuori delle mura, in prossimità delle porte d’ingresso alla città.
Sicuramente meritevoli di essere visitate sono le molte ville d’otium, spesso costruite lontano dal centro abitato e che possedevano dunque aree dedicate alle attività agricole. Da non perdere è la villa dei Misteri con affreschi splendidamente conservati all’interno del triclinio, dove veniva servito il pranzo.
Fa bella mostra di sé anche la Villa di Giulia Felice, che fungeva da affitta camere, una sorta di bed & breakfast romano, dotata di un’area coperta di poco più di un terzo dell’intera proprietà e il resto era giardino.
La proprietaria aveva fatto affiggere sull’ingresso un avviso di locazione di due zone della casa: il bellissimo bagno e le botteghe con abitazioni. La zona del bagno privato per la clientela di riguardo era dotata di tutti i comfort: portico d’attesa, sedute, guardaroba e passavivande dalla vicina osteria; spogliatoio con vasca per il bagno freddo; tepidarium con vicino il laconicum, antenato della moderna sauna; il calidarium e, infine, un’area con bagni all’aperto.
Le case di Pompei si sviluppavano lungo gli assi viari, con l’ingresso nelle vie laterali prevedendo spazi per le attività commerciali, quindi per i negozi o taverne, una sorta di “paleo smart working” senza necessità di attraversare l’urbe per recarsi al lavoro. In origine le case dei cittadini più abbienti prevedevano un atrio scoperto al fine di raccogliere le acque piovane e dare luce, mentre intorno a questo spazio aperto si diramavano le diverse stanze. Successivamente si costruirono rispettando due spazi, uno pubblico per ospiti o clienti, e uno privato dedicato alla famiglia.
Da non perdere anche la casa del Poeta Tragico, una tipica abitazione con atrio al cui ingresso un famoso mosaico che rappresenta un cane alla catena reca la scritta CAVE CANEM (“attenti al cane”).
Quello che però mi ha incuriosito di più sono state le botteghe/tavole calde termopoli. Come i romani – e anche i greci – i pompeiani erano abituati ad acquistare cibo per strada consumandolo in piedi, così come facevano con le bevande calde. Già allora precursori dell’odierno street food, queste botteghe erano formate da un bancone che si affacciava sulla strada, provvisto di anfore di terracotta incassate e decorate con figure rappresentanti i prodotti venduti.
Curiosità:
Oltre ad essere esportatori e commercianti di vino e olio, alla base della loro alimentazione i pompeiani facevano ampio uso di prodotti di origine animale, preparando piatti con carne e pesce insieme (ritrovati infatti i resti di una “paella pompeiana”). Usavano inoltre le fave frammentate e macinate per modificare il gusto del vino e sbiancarlo.
Incuriosita, sono andata a sbirciare le pubblicazioni di Generoso Urciuoli, archeologo dall’approccio antropologico che ha scritto le “Archeoricette”, nel quale racconta che i cuochi locali usavano la farina per mantecare, pane noci e carrube per addensare, le uova per amalgamare e decorare.
Un’ultima curiosità
Nelle strade di Pompei troverete spesso dei grandi blocchi di pietra disposti in modo perpendicolare alla carreggiata. Disposti a un livello più alto rispetto alla stessa strada, servivano a collegare i due lati dei marciapiedi.
Sono i “passaggi pedonali”, antenati delle nostre strisce pedonali, disposti in modo da lasciare lo spazio sufficiente per il transito dei carri.
I marciapiedi e i passaggi pedonali erano rialzati per facilitare il carico e scarico dai carri, e servivano anche per non camminare sulla strada spesso sporca di resti organici degli animali e di rifiuti, consentendo di lavarla spesso senza bagnarsi i piedi.
Geniale, no?
Un consiglio
Scarpe da trekking, abiti comodi, acqua e molta voglia di camminare.
Un ultimo consiglio
Meglio scegliere di andare la mattina presto, appena apre per poter immergersi in questa meravigliosa oasi di spazio temporale in tutta tranquillità.
Silvia Donatiello