Negli ultimi anni, la crescente attenzione verso pratiche agricole e zootecniche sostenibili ha portato a una rivalutazione dei metodi tradizionali di allevamento
Slow Food, movimento internazionale fondato in Italia, è tra i protagonisti di questa trasformazione, promuovendo il rispetto per l’ambiente, il benessere animale e la biodiversità. In particolare, i presìdi Slow Food si impegnano a tutelare le piccole produzioni locali che seguono principi etici e sostenibili. In Piemonte, una regione ricca di storia e tradizione, gli allevamenti sostenibili stanno tornando a essere un pilastro dell’economia rurale, grazie a un approccio che valorizza razze autoctone, metodi di produzione rispettosi e l’interazione armoniosa con il territorio. Ma questo fenomeno non è circoscritto all’Italia: in tutto il mondo, allevatori e produttori stanno abbracciando una filosofia simile, creando un ponte tra tradizione e innovazione. In questa intervista, esploreremo come i presìdi Slow Food stanno contribuendo a sostenere gli allevamenti etici in Piemonte e oltre, offrendo un modello di sviluppo che guarda al futuro senza dimenticare le proprie radici.
L’associazione di aziende La Granda è nata nel 2004 con l’obiettivo di valorizzare una delle razze bovine più antiche e pregiate d’Italia, la Razza Piemontese, e promuovere pratiche di allevamento sostenibili, rispettose dell’ambiente e del benessere animale. L’idea è stata sviluppata da Sergio Capaldo, veterinario, che ha voluto riunire piccoli allevatori del territorio piemontese sotto una filosofia comune, orientata alla qualità, alla trasparenza e alla sostenibilità.
La Granda è un presidio Slow Food perché condivide i principi fondamentali del movimento: difesa delle tradizioni locali, tutela della biodiversità e creazione di un sistema agroalimentare più equo. L’associazione si distingue per il rispetto di rigidi standard di produzione: alimentazione naturale per gli animali, riduzione dell’impatto ambientale e benessere animale sono al centro delle loro pratiche.
Inoltre, La Granda ha saputo innovare e integrarsi nel mercato moderno senza rinunciare ai valori tradizionali, creando una filiera corta che permette di garantire la qualità della carne e di remunerare adeguatamente i piccoli produttori. La collaborazione con Slow Food ha rafforzato questa visione, contribuendo a diffondere un modello di allevamento che pone la salute del consumatore, dell’ambiente e degli animali al primo posto.
In Valle Stura, a Demonte, troviamo una delle aziende agricole di questo consorzio, stiamo parlando dell’azienda agricola Giorgio Arnaudo, il cui proprietario, originario di Vinadio, ha creato questo virtuosismo una trentina di anni fa.
Qual è la storia della tua azienda agricola? Come è iniziata la collaborazione con il Presidio Slow Food?
La mia azienda agricola è nata come impresa familiare. I miei genitori hanno avviato l’attività a Vinadio, ma nel 1993 ci siamo trasferiti nella nostra attuale sede, acquistando una nuova proprietà. Inizialmente ci occupavamo di produzione di latte e formaggi, ma con il tempo abbiamo deciso di concentrarci sull’allevamento della Razza Piemontese, vocata alla produzione di carne di alta qualità. Dal 2012 siamo parte de La Granda, il consorzio che gestisce l’unico presidio Slow Food dedicato a questa razza.
Quali sono i principali prodotti che coltivi e quali tecniche utilizzi per garantire la qualità e la sostenibilità?
Viviamo a 850 metri di altitudine, quindi non coltiviamo mais direttamente. Tuttavia, facciamo parte del consorzio La Granda, che gestisce la produzione in rotazione su altri terreni. Il nostro mais è micorrizato, una tecnica che arricchisce le radici della pianta, migliorando l’assorbimento dei nutrienti e riducendo la necessità di chimica. Produciamo foraggio su prati stabili e siamo autosufficienti, evitando l’aratura per ridurre le emissioni di carbonio e l’impatto ambientale.
Lavorare su un prato stabile riduce notevolmente le emissioni. L’aratura, oltre ai costi economici, ha un impatto significativo sull’ambiente: richiede diserbanti e concimi, tutte pratiche che lasciano un’impronta ecologica. Un prato stabile, invece, richiede solo uno o due sfalci e pascolate all’anno, riducendo l’impatto sul suolo di dieci volte rispetto a molte altre coltivazioni.
Il fieno di prato stabile, essenziale per l’alimentazione degli animali, è un bioregolatore naturale. In un metro quadrato di prato stabile possiamo trovare fino a 50 varietà di erbe, con una biodiversità superiore soprattutto in altitudine, dove si trovano specie uniche, assenti in pianura. Questo permette agli animali di scegliere ciò di cui hanno bisogno, diversamente dai mangimi miscelati utilizzati per l’ingrasso, che spesso causano problemi di acidosi negli allevamenti intensivi, influendo negativamente sulla qualità della carne.
Inoltre, siamo tra i pochi a utilizzare lieviti vivi nell’alimentazione, favorendo una flora intestinale sana, senza l’uso di sali, minerali o vitamine artificiali. L’alimentazione è interamente basata su agricoltura simbiotica, una pratica innovativa certificata dal Ministero, che promuove un equilibrio naturale tra piante, suolo e animali.
Quali sfide e successi avete affrontato come produttori Slow Food?
La sfida più grande è stata mettere insieme 60-70 aziende sotto lo stesso rigoroso disciplinare. L’allevamento deve rispettare standard comuni: niente insilati, foraggio di prati stabili, e alimentazione con cereali laminati. Il successo più significativo è proprio l’essere riusciti a mantenere queste regole condivise, creando una filiera sostenibile e trasparente.
Come vedi il futuro dell’agricoltura sostenibile?
Non sarà facile, perché siamo solo una goccia nell’oceano. Tuttavia, Slow Food ha dato un impulso importante. Stiamo dimostrando che un’agricoltura sostenibile e di qualità è possibile, anche se rappresentiamo numeri piccoli rispetto al mercato globale. Il nostro lavoro è apprezzato per la qualità e l’etica che lo distinguono.
Ci sono progetti legati al turismo sostenibile per la tua azienda?
Sì, il turismo sostenibile è un’opportunità crescente. Mia figlia studia turismo e stiamo valutando la possibilità di integrare la nostra attività agricola con esperienze turistiche. Offrire un’esperienza autentica, come trascorrere qualche giorno in alpeggio, potrebbe attrarre chi cerca un contatto reale con la natura e la nostra tradizione agricola.
Ultimissima domanda: è vero che nel tuo lavoro in alta montagna usate a volte le bici?
Sì, ma io vado a pedalata assistita ormai, mentre mio figlio mi sfida con la muscolare….
Silvia Donatiello