Il risveglio di primavera quest’anno è stato un po’ sbrigativo. Le gemme erano quasi impazienti di sbocciare e aprire il tessuto vitale delle piante. L’inverno è stato generoso con noi e la natura, anche se la paura di qualche ritorno di selvagge gelate c’era, e poteva essere anche la condanna della produzione agricola.
Così non è stato . Con il risveglio della natura l’essere umano non può restare indietro: ricomincia lo sport all’aria aperta, si cura il giardinaggio, il contadino si occupa dei suoi prodotti, e i produttori non vedono l’ora di presentare i loro vini. E cosi comincia la danza delle anteprime. Noi del Piemonte seguiamo i nostri prodotti e ne andiamo fieri. Il Barolo è stato uno dei primi ad aprire le danze con i comuni di Castiglione Falletto e Serralunga, l’hanno seguito a ruota i fratelli minori, dal Nebbiolo alla Freisa al Ruchè. Sui vini del Piemonte potremmo stare a scriverne fin alla noia, ma oggi non vogliamo annoiarvi, vogliamo raccontarvi l’esperienza avuta per caso a Lucca.
Prenotiamo mesi prima per un viaggio toccata e fuga a Lucca, la città delle mura medioevali e rinascimentali, della piazza “anfiteatro” , dei sigari Toscani, della carta. Ma non potevamo non fare qualche visita in cantina, e così contattiamo il nostro amico e collega Davide Pieroni, che passioni e impegni ne ha da vendere. Ci comunica che non ci sarà in quei giorni, per il congresso di Slow – Food a Riva di Garda, ma una bella notizia ce la dà. La 13° Anteprima dei Vini della Costa Toscana si svolge negli stessi giorni del nostro minitour nell’alta toscana. Meglio di così, non poteva andare.
Il viaggio fin alle mura di Lucca è lungo, perciò si parte di mattina presto. L’alba in primavera è indescrivibile. Il gioco delle nuvole coccolate dai primi raggi del sole ti dà la carica per una giornata bella e promettente. Si arriva davanti alla porta dell’ex collegio Reale freschi e contenti. “Sara” ci accoglie come una vera padrona di casa e così iniziamo quasi da dilettanti il percorso per questi vini che diversamente da quelli Piemontesi, per noi sono un po’ un mistero.
Quasi subito ci imbattiamo in un produttore che utilizza botti in terracotta; vino invecchiato in anfore di terra cotta ne avevamo già assaggiato e visto, ma barrique in terra cotta era la prima volta che ne sentivamo parlare. Ancora non ci è chiaro se si tratti di moda o se vi sia un risvolto tecnico/scientifico o forse entrambi gli aspetti; fatto sta che l’immagine dell’opuscolo aziendale immortala un “barricaia” di terracotta all’interno di una cantina di invecchiamento.
Scopriamo ben presto che in degustazione vi sono i vini un po’ di tutte le province e siamo incuriositi dai vini grossetani, pisani e lucchesi che sembrano avere il predominio sugli altri se non altro come numero di produttori. Tra questi scegliamo di approfondire i rossi. I produttori sono tanti, circa 60 e ognuno porta diversi vini: chi tre, chi quattro chi dieci e una scelta andava pur fatta.
Scopriamo ben presto che il taglio bordolese è il predominante tra i vari uvaggi, anche se vi sono interessanti esempi di uvaggi autoctoni; sicuramente una menzione particolare va riservata ai produttori che vinificano syrah in purezza, un vitigno che in toscana, soprattutto in alcune zone, si esprime particolarmente bene. Pochi, tra i produttori presenti, si sono, invece, lanciati in vinificazioni in purezza del re dei vini toscani: il sangiovese.
In effetti questo vitigno non molto facile da gestire, non ci sembra che dia grandi risultati, eccezion fatta, ovviamente, per le zone particolarmente vocate alla sua coltivazione come Montalcino, Montepulciano e dintorni; molto interessanti, invece, appaiono gli uvaggi che contengono percentuali più o meno importanti di sangiovese che con l’attacco in bocca spigoloso viene arrotondato dagli altri vitigni.
Ogni assaggio è comunque una novità. E alla fine non poteva essere diverso. Ogni vino ha la sua personalità, qualche volta assomiglia anche al produttore come ha ricordato il sommelier “Leonardo” che ha condotto una interessante degustazione alla cieca di vini toscani del 2004, ben 14 vini. In degustazione, infatti, si arriva ad un vino quasi aggressivo e commenta che poteva essere solo così conoscendo il suo padrone. A parlare con i produttori toscani, ti trovi davanti a delle persone che ti sembra di conoscerle da una vita. Alla fine producono e presentano il vino! Non sono persone piene di sè, ma sono orgogliose e consapevoli che sono lì per presentare il loro prodotto.
Loro sanno che al vino non piacciono le cerimonie, perché basta che alzi il gomito più del solito e la serietà sparisce.
La maggior parte dei vini del 2004 è costituita da tagli bordolesi, morbidi, avvolgenti, setosi, di gusto decisamente internazionale. Erano diversi tra di loro sia nei profumi che nel gusto.
Ma torniamo ai “Toscani”, loro sono allegri e burberi, spiritosi e iracondi al tempo stesso, hanno scritto la storia dell’Architettura da Brunelleschi a Michelangelo e anche della letteratura da Dante a Boccaccio, e Benigni e lì a raccontarcela; i loro discendenti l’allegria non l’hanno mai persa. Con quello spirito sanno bene che il vino viene e se non ancora, verrà come il fratello più grande Chianti e non hanno dubbi su questo punto. A loro basta per il momento che il mondo li conosca come “Vini Toscani” e sanno usarlo bene questo brand internazionale…, ma il loro lavoro lo fanno bene. I vini della costa Toscana hanno al suo fianco il mitico Sassicaia, e lui li ha fatto famosi nel mondo. E loro sanno che basta seguire le orme giuste e tutto sarà un successo.
Una cosa che ci ha fatto stupire in questa manifestazione era la serietà dell’organizzazione. Laboratori con chef stellati, degustazione di vini “ospiti” da quelli di Franciacorta a quelli Galiziani. La degustazione dei sigari Toscani in abbinamento con i vini da meditazione. Uno spettacolo! La passione del relatore sui sigari toscani, la fierezza in quelle parole si percepiva in ogni movimento delle mani. La generosità di spiegarti come si fuma un sigaro, il sorriso mai tolto dalle labbra delle hostess, tutto molto emozionante. Al nostro fianco, ( e qui torniamo dove l’abbiamo cominciato ) alla degustazione di sigari, si è seduto un lavoratore di terra cotta:
-Ah, ma noi abbiamo assaggiato il vino messo nelle sue botti!!!
-Eh, sì. Adesso sta nascendo questa moda, anche se non mi piace chiamarla così, e vediamo di provare un nuovo percorso.
Il suo spirito gioioso era quasi contagioso. Lui ci faceva vedere le mani, con i segni della terra inculcata fin dentro alla pelle, e rideva. Mostrava il suo cellulare ridendo con i segni del suo lavoro, ma a me piace ci diceva. Io mi alzo al mattina e vado a toccare quella terra bagnata, non scrivo poesie, ma la mia poesia è quella di alzarsi al mattino e scaricare l’e
nergia che accumulo durante la notte. E secondo voi, c’è una cosa più bella di questa!!!
Eh sì, caro amico sconosciuto, non c’è cosa più bella di lasciare le orme sulla striscia della nostra vita! C’è chi non sa quello che deve fare, e ci sono quelli come te che ci insegnano a sorridere. Due giornate piene di nuove conoscenze, cominciando dal vino, alle persone più importanti a quelle che facevano il lavoro più umile in quel bell’evento.
Prendiamo il viaggio di ritorno seguendo la strada più lunga ma la più bella. Quella delle Alpi Apuane. Tra il Ponte del Diavolo a Borgo a Mozzano sul fiume Serchio, il borgo Medioevale intatto di Barga, e i km percorsi in mezzo alla riserva naturale, in mezzo alle montagne fiere della loro grandezza e della vita millenaria o meglio “milionaria”.
Daniela Mecaj e Luca Ghirardo