
Come nasce l’azienda vinicola La Regola?
Da una passione ultracentenaria per i vini di qualità, derivante da nostro bisnonno Corrado. Poi il continuo passaggio generazionale del podere ha portato, nel 1990, mio fratello Luca ha iniziare una vera e propria attività aziendale. Lui è laureato in agraria. Il nostro enologo è Luca D’Attoma. Io sono avvocato e nell’azienda, dal 2000, mi occupo di amministrazione e marketing. In questi anni siamo passati da due a 20 vigneti e altrettanti sono gli ettari di terra coltivata, in parte in conversione al biologico.

Il progetto è in approvazione e dovremmo iniziare quest’anno. Ci stiamo dietro da molto tempo, adesso dovrebbero arrivarci i finanziamenti europei. Significa che utilizzeremo materiali e metodologie di lavorazione, nelle varie fasi del processo, che avranno il minor impatto possibile. Nel rispetto dell’ambiente e seguendo i dettami di uno sviluppo sostenibile. Ci sarà meno cemento e più legno. Del resto questa è una zona che sente molto tematiche del genere. Una cantina che sarà ecosostenibile, inoltre, per il tipo di fonti energetiche utilizzate, rigorosamente pulite. Nella fattispecie l’energia sarà autoprodotta grazie a un piccolo eolico, una concezione già adottata dal comune di Riparbella, ma anche da altri.
Se state inseguendo il progetto della cantina green da diversi anni, significa che in Italia siete stati tra i primi ad avvicinarvi a queste concezioni. Ben prima che diventasse una sorta di ‘moda’, per così dire. Come mai questo passo?
In realtà possiamo dire che cambia il nome, ma questa sostenibilità noi l’abbiamo sempre perseguita. Perché è l’agricoltura tradizionale, quella dei nostri vecchi. Ecco, la sostenibilità è la riconferma di quel tipo di lavorazione tradizionale. Chiunque ne mantenga una certa originalità è vicino a ciò che oggi viene definito sviluppo sostenibile.
La cantina ecosostenibile nell’immediato futuro. Per il presente, invece, c’è il vino biologico.
Come si coniuga un’attività del tutto green, pulita, con lo sviluppo economico di una società?
Siamo un’azienda che sta terminando la conversione al biologico, dura tre anni, e già questo dice molto sulla nostra filosofia. Probabilmente, ma qui il discorso è complesso e apice di un lungo processo di cambiamento altrettanto difficile, la strada successiva da intraprendere, eventualmente, è quella della biodinamica. Fermandoci alla realtà di oggi, il nostro podere vuole un vino biologico, questo è certo. Una politica del genere implica scelte radicali, gli stessi prodotti sono più costosi rispetto ai classici. Però, alla lunga, si traduce nell’occasione di fare i migliori vini possibili per naturalità e qualità, vini in cui ritroviamo chiaramente il diverso modo di trattamento della vigna. La pianta, senza elementi come i solfiti, o comunque, se presenti, davvero ridotti al minimo, ha la capacità di produrre un’uva eccellente. Nel frutto in sé per sé e nell’espressione del sapore che prenderà poi il vino.

In sostanza è un metodo di coltivazione che prevede l’assenza assoluta di qualsiasi uso di sostanze esterne, non naturali. Ribadisco, è un discorso molto complesso. Possiamo semplificarlo dicendo che il meccanismo si basa su un riciclo continuo dei prodotti della terra: tutto ciò che essa produce viene riutilizzato. Non è semplice raggiungere in toto questo nutrimento perché i fattori esterni sono imponderabili. L’essere umano si vaccina, eppure prende lo stesso l’influenza. Per le piante funziona allo stesso modo. In situazioni poco efficienti c’è la possibilità che prendano dei virus, che vengano quindi aggredite. Nel momento in cui si interviene per eliminare questa malattia, questa influenza della pianta, ecco che non si può più parlare di biodinamica. Quindi, in realtà, è un’estremizzazione lungi da essere realizzata per quanto ci riguarda.
E tornando al presente, un vino del genere, biologico, è per pochi eletti o ha un costo accessibile a tutti?
Dalla parte del produttore, quindi anche del consumatore, fare un vino biologico, naturale, significa spendere più di quanto accadrebbe comportandoci diversamente. Questo, però, agli inizi, poi quando il ciclo è a pieno regime le spese diventano minori per tutti e, dunque, anche per chi acquista il prodotto finale. In ogni caso, nonostante siamo un’azienda medio-piccola, abbiamo sempre fatto della diversificazione, della varietà dei vini offerti, un nostro punto di forza: sono 13 al momento, e da una bottiglia all’altra, come cambia il tipo di vino, cambia, è chiaro, anche il prezzo.

L’Italia è una delle maggiori produttrici al mondo, nonché esportatrici, nel settore vinicolo. Dunque sarà all’avanguardia per quanto riguarda la sostenibilità. O no?
Diciamo che nel nostro Paese la sostenibilità sta prendendo campo, sì. Serve un giusto compromesso per non giungere a estremismi, però. Il passo avanti è culturale e il vino ben si presta, perché è un prodotto che non deve voler soltanto dire commercio. Deve raccontare qualcosa del territorio in cui prende vita, deve presentarsi con una certa qualità, e la sostenibilità, allora, aiuta in tal senso. Del resto siamo tra i maggiori esportatori di vino non solo in termini di volume, ma anche di bontà. È questo che ci contraddistingue nella concorrenza con gli altri Paesi. Noi abbiamo tanti vitigni autoctoni, abbiamo la tipicità, nel vino come in tanti altri prodotti. La sostenibilità, a conti fatti, è una necessità e anche un valore aggiunto.
Fonte: La Gazzetta di Lucca