Quando le fucine terminano di sudare per produrre armi cedono spazio alle pietre naturali: marmi e graniti, che prendono il sopravvento lasciando la loro impronta di pace nella storia millenaria dell’uomo. Ai marmi e ai graniti, come alla vite, occorrono pace e tranquillità per dare all’uomo il frutto del tenace lavoro in cava e nei vigneti. Dietro l’ondata di ferro distruggitore, una schiera di uomini di buona volontà riedifica con le pietre il monumento alla civiltà come unico scopo della vita e coltiva la vite nei campi teatri di cruente battaglie, traendo la forza per continuare a credere nei sani valori del convivio.
La vite vuole un terreno che marmi e graniti le danno: nascono e crescono così due prodotti che l’uomo, dedito all’arte e amante della pace, ha saputo coltivare impiegando le pietre per glorificare Dio, per onorare gli eroi per nobilitare le proprie dimore e usando il vino come simbolo di bacchica amicizia.
L’arco delle Alpi occidentali, coronato dai quattromila del Bernina, Monte Rosa, Cervino, Monte Bianco e Gran Paradiso è formato da tanti conci quanti sono i graniti e i marmi alle falde dei quali alligna un unico vitigno: il nebbiolo, padre di tanti vini dai nomi diversi. Un arco abitato da gente pratica, di abitudini regolari, gente di montagna, dura, tutta d’un pezzo, forte come il granito, forte come il nebbiolo, che conserva le proprie caratteristiche nelle diverse denominazioni in località diverse. Uomini che estraggono le pietre ornamentali (graniti e marmi) dalle montagne non già ferendole ma aiutandole a partorire questa nobile roccia, base di una cultura che si è espressa nelle costruzioni e nelle arti figurative.
Un arco punteggiato da manieri, castelli e palazzi, chiese e pievi, case e baite: solide costruzioni protette da strati di beole, che prendono il nome dalla località di Beura in Valdossola, ottenute dallo sfaldamento delle pietre dalle quali si ricavano anche le piode che, scaldate convenientemente, sono state uno dei primi metodi di cottura. Dalla tornitura della pietra ollare della Valtellina si ricavano i laveggi: ottime pentole per le lunghe cotture.
II granito di San Fedelino, il serizzo ghiandone della Val Masino ed il serpentino nobilitano case e chiese non solo lombarde così come la pietra di Moltrasio è presente nelle ville della borghesia lariana.
La nuova provincia Verbano Cusio Ossola è ricca di graniti: bianco di Alzo e rosa di Baveno, con interessanti intrusioni che accolgono il marmo Ornavasso, il marmo di Candoglia del Duomo di Milano e quello di Valle Strona del Tribunale di Milano.
L’arco si arricchisce con il granito Borgosesia e con la sienite della Balma, nel comune biellese di San Paolo Cervo, estendendosi alla Val d’Aosta con il Verde antico di Chatillon e termina con lo gneiss di Bussoleno, la pietra di Luserna, la quarzite di Barge ed il granito dell’Argentera.
Una pia leggenda racconta che un monaco coltivava un campicello da quale ricavava di che mangiare ed una vigna per il vino, necessario per celebrare la messa. Una mattina scorse che l’intera plaga era coperta da una fitta nebbia e, quando si diradò, vide risplendere la vigna di una luce abbagliante dovuta alla nebbia che si era adagiata sugli acini che ne risplendevano come perle sui grappoli del nebbiolo (o nebiolo, la terminologia è incerta pur prevalendo la prima).
La coltivazione del nebbiolo è circoscritta ad alcune zone collinari e pedemontane del Piemonte, alla bassa Val d’Aosta, dove è conosciuto come picoutener, sino alla Valtellina, dove è noto con il nome di Chiavennasca: da chiuinascha: (più vinaccia per la sua maggior resa e cioè adatta alla trasformazione in vino). Il nome Spanna con il quale il nebbiolo è chiamato nel novarese, consente di identificare il nebbiolo con la Spionia citata da Plinio che deriva da spinus (prugnolo) il cui frutto è ricoperto da una spessa pruina; che compare anche nel termine prunent della Valdossola per richiamare il prugnolo.
Il Nebbiolo, distribuito nelle diverse zone con biotipi e cloni differenti, assume potenzialità molto diverse dando origine a vini che presentano struttura e caratteristiche proprie a seconda dell’ambiente di coltivazione. Il nebbiolo è dunque padre di tanti vini figli di altrettante madri quante sono le contrade dell’arco alpino: dal Grumello, Inferno, Sassella e Sfursat della Valtellina; al leggendario Prunent della Valdossola, al Gattinara, Fara, Ghemme e Sizzano della Val Sesia; dal Carema piemontese al Donnaz della Val d’Aosta, fino al Monte Argentera dove l’arco termina adagiandosi nelle Langhe sulle rive del Tanaro dove regnano il Barolo e il Barbaresco.
Carlo Porta dimostra di apprezzare il nebbiolo citandolo nel “brindes de Meneghin a l’osteria” scritto in occasione delle nozze di Napoleone con Maria Luigia d’Austria celebrate a Parigi nel 1810
presto, ovej, de la cantina!
porteen scià ona caraffinna
de quell fin de Gattinara
vera gloria de Novara
( presto, olà, della cantina, portate qui una caraffina, di quello fine di Gattinara, vera gloria di Novara)
Al di là della licenza poetica per trovare la rima (gattinara/novara) la Val Sesia faceva allora parte della Repubblica Cisalpina e quindi comprendeva i vitigni delle due sponde del Sesia. Ora la gloria di Novara spetta ai vigneti delle colline novaresi, in una zona posta a nord del capoluogo e delimitata dai fiumi Sesia ad ovest e Ticino ad est, confinando a settentrione con il Vergante.
La viticoltura nel territorio ha tradizioni antichissime, praticata da molti secoli grazie al microclima particolarmente favorevole, dovuto alla vicinanza del Monte Rosa, ai monti della Val Sesia e ad un terreno composto da argille, sabbia e ciottoli di origine morenica derivata dal granito. Dei 25 comuni compresi nel territorio ben nove sono riconosciuti come “Città del vino”: Boca, Bogogno, Briona, Fara novarese, Ghemme, Mezzomerico, Romagnano Sesia, Sizzano e Suno. Sizzano è l’unica zona di produzione del Sizzano DOC, un vino color rosso rubino con sentori di violetta, sapido e armonico al palato, prodotto con uvaggio tipico di nebbiolo, vespolina e bonarda, dotato di caratteristiche così particolari da essere regolamentato già dal 1969. L’invecchiamento minimo previsto di trentotto mesi fa capire che si tratta di un vino rosso importante, adatto a piatti saporiti e formaggi stagionati.
Ospiti di Sergio Zanetta (nella fotografia) nelle Cantine Lorenzo Zanetta, un selezionato gruppo di giornalisti del settore agroalimentare ha seguito le fasi di lavorazione delle uve dei colli attorno a Sizzano dove i viticoltori, seguendo l’esempio dei Zanetta, hanno adottato pratiche agronomiche a basso impatto ambientale e tecniche enologiche avanzate che hanno contribuito ad incrementare lo standard qualitativo favorendo la collocazione dei vini ai vertici della piramide enoica piemontese. Due spigoli della piramide sono stati oggetto di un assaggio in verticale delle ultime migliori annate di Ghemme DOCG 1998, 2001, 2004 e 2006 e di Sizzano DOC 2003, 2004, 2005 e 2009.
Giovanni Staccotti