Un’altra grande soddisfazione per il Museo del Vino (MUVIT) di Torgiano (PG): dopo essere stato recensito dal New York Times come “il migliore in Italia”, è stato infatti inserito pochi mesi fa dalla rivista The Drinks Business nella Top 10 Best Wine Museums of the World.
Ideato e realizzato da Maria Grazia Marchetti, storica dell’arte, archivista e moglie di Giorgio Lungarotti, uno dei patriarchi dell’enologia italiana, è gestito, con il Museo dell’Olivo e dell’Olio (MOO), dalla Fondazione Lungarotti, istituto nato nel 1987 su iniziativa di Giorgio e sua moglie e diretto dalla stessa Maria Grazia Marchetti Lungarotti, che si occupa della valorizzazione della cultura agricola italiana attraverso attività di ricerca, mostre, convegni, iniziative editoriali ed un fitto calendario di conferenze, incontri e laboratori a tema. Dall’officina culturale di Torgiano escono anche pubblicazioni editoriali premiate anche a livello internazionale.
Con una collezione di oltre 3000 reperti, il Museo racconta in modo inedito la storia della viticoltura mediterranea proponendo un affascinante viaggio lungo cinquemila anni che parte dal III millennio a.C. e dalle origini mediorientali della viticoltura e si snoda nelle sue venti sale attraverso collezioni d’arte tra coppe, tra le quali una Kylix attribuita al “Pittore di Phrynos”, ceramografo attivo tra il 560 e il 540 a.c. appartenente al gruppo dei “Piccoli maestri”, boccali, anfore, vasi potori in vetro e in terracotta, anfore, vasellame, ceramiche medievali, rinascimentali, barocche e alcune opere contemporanee in una imponente collezione a tema, oltre a raccolte etnografiche, sculture, splendidi gioielli, ricchi tessuti, editoria antiquaria, mappe, trattati di valore scientifico e testi curiosi, cartoline, almanacchi, dipinti, stampe, grafiche, acqueforti e capolavori di alcuni tra i maggiori artisti di ogni epoca: Mastro Giorgio Andreoli, ideatore alla fine del 1400 del “lustro”, una particolare tecnica di pittura su ceramica che la rendeva iridescente e di cui il Museo presenta una deliziosa testimonianza, uno splendido piatto che raffigura “l’infanzia di Bacco”, e poi Renato Guttuso con il bozzetto teatrale “Bacco”, acquatinta colorata del 1980, Jean Cocteau con un “Vaso antropomorfo” di rara bellezza, Gio Ponti con la famosa “Bottiglia mamma”, tratta dai suoi schizzi, e altre sue creazioni e Joe Tilson con il piatto “Dionysos eydendros” del 1983.
Nel seicentesco palazzo Graziani Baglioni, sede del Museo, è conservata anche una tra le più grandi collezioni europee di incisioni a tema bacchico tra cui un “Baccanale con Sileno” di Andrea Mantegna, una delle prime incisioni a bulino esistenti (1470 ca.), e il più recente “Baccanale” di Picasso del 1959 eseguito a linoleum.
In ogni sala pannelli e libri digitali sfogliabili guidano il visitatore in un percorso ricco, educativo e assolutamente unico.
Nel Museo anche numerosi attrezzi per la vinificazione, orci, botticelle, piccoli e grandi torchi tra cui il torchio monumentale descritto da Catone e utilizzato nella campagna umbra fino a pochi decenni fa e una interessante collezione di ferri da cialda riccamente istoriati, attrezzi a doppia piastra da scaldare sulle braci per preparare sottili biscotti da gustare accompagnati al Vin Santo.
Aperto al pubblico nel 1974, nella ricorrenza dei suoi 40 anni è stato celebrato anche con il vino simbolo di Lungarotti, il Rubesco, in “limited and Muvit edition” con l’etichetta raffigurante uno dei suoi pezzi più importanti: il piatto con Satiro di Jean Cocteau, smalto su terracotta (Parigi 1958).
Tra le ceramiche, alcune arrivano dalla nota città di Deruta, vi sono anche albarelli e unguentari da farmacia, vasi farmaceutici, mortai, versatoi, poiché il vino era anche utilizzato come medicamento, e alcuni pezzi curiosi come i “bevi se puoi”, detti anche “a inganno”, caraffe, coppe e fiaschette di diverse forme e traforate in vari punti, che permettevano di bere solo scoprendo l’inganno, tappando con attenzione alcuni buchi e di conseguenza “guidando” il vino al giusto foro di uscita, in caso contrario il vino fuoriusciva dai fori laterali bagnando l’incauto bevitore e procurando ilarità e scherno tra i commensali e per questo motivo erano anche chiamate “bosse buffone” ossia “caraffe burlone” e per questo sovente decorate con scritte scherzose.
Paolo Alciati