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Singapore: la città stato più moderna e tecnologicamente avanzata del pianeta

18 Aprile 2022 by Roberto Rabachino

A Singapore si incontrano i 14 tipi diversi di cucine asiatiche ed europee, e l’isola è un vero paradiso di buongustai

Singapore, la splendida, nasce da una visione. Un principe di Palenbang, costretto ad attraccare la sua nave sull’isola sognò uno strano animale: potente e aggressivo, capace di fare grandi balzi in avanti. Il sovrano lo considerò un buon auspicio e chiamò quel suo territorio “Singa Pura”, – la città del leone -. Nel 1819 un distinto nobiluomo inglese, sir Thomas Stamford Raffles, navigando fra Penang e Giava, sbarcò nello stesso punto del sovrano di Palenbang. Esploratore, geografo, uomo d’affari, umanista, sir Stamford, rappresentante di Sua Maestà Britannica, capì che il piccolo villaggio e l’isola potevano diventare un grande porto e cuore dell’impero inglese nel Sudest asiatico.  E fondò Singapore per una seconda volta. Passarono gli anni, arrivarono cinesi, malesi, tamil e buoni sudditi inglesi. Il porto diventò il centro di traffici ed esportazioni di ogni genere: stagno e gomma, spezie e perle. L’aria era calda e umida. Gli inglesi vivevano nei bungalow bianchi, fra le palme. Dopo la Seconda guerra mondiale e l’occupazione giapponese, Singapore fu al centro di tutti i terremoti politici dell’area, visse il declino delle colonie, il tramonto inarrestabile dell’impero. Il leone, sognato dal principe di Palembang, stava perdendo le forze e l’aggressività. I bei tempi erano finiti. Nel 1959 un terzo uomo entrò nella storia di Singapore. Era un cinese, educato a Cambridge conosciuto al Trinity College come Harry Lee. Ma il suo vero nome era Lee Kuan Yew. Anticomunista, nazionalista, innamorato ella sua piccola isola e della sua gente, fondatore di un partito, il People’s action party, Lee in tutta Singapore fu l’unico, in quegli anni, ad avere una visione.  La città-Stato avviata alla totale indipendenza non poteva restare soltanto una base militare angloamericana, sonnolenta e peccaminosa, piena di oppio e di prostitute, di trafficanti e di bottegucce. Ma doveva diventare la Svizzera dell’Oriente, il centro di tutta la finanza, il porto più frequentato del mondo, l’oasi dell’imprenditorialità asiatica, il paradiso fiscale delle multinazionali, il formidabile dosatore di servizi a tutta l’area. Da tutto il mondo arrivarono in poco tempo le multinazionali, le banche. Singapore, anno dopo anno, diventò una potenza economica. Il modello di Lee, erano i Paesi nordici dell’Europa, la Svizzera, gli Stati Uniti e soprattutto la vecchia, amata Inghilterra. Divenendo uno degli Stati più moderni e tecnologicamente avanzati del mondo.

Ogni città ha il suo modo di presentarsi, di farsi vedere al meglio. Quello di Singapore è l’aeroporto. L’aeroporto è la sua vetrina, la sua faccia imbellettata, il suo biglietto da visita. La gente arriva e parte da lì e in verità non avrebbe bisogno di vedere altro, perché l’aeroporto è un concentrato di tutto quel che Singapore ha da far vedere di sé: la sua efficienza, la sua pulizia, il suo ordine il suo essere il più grande supermercato di beni di consumo, di inutilità e di perbenismo dell’Asia.

La città ha una skyline dai tratti newyorkesi. La delinquenza non esiste. Per terra non c’è un pezzo di carta. Dominano il verde tropicale e il silenzio. Gli alberghi sono ora i più lussuosi della terra. Singapore è una città di banchieri e di broker, di specialisti di computer e tecnici di grande livello, di commercianti e finanzieri tutti operosissimi e instancabili. Il pomeriggio, alla “Tiffin room” dell’hotel “Raffles” i cinesi prendono il tè come gli inglesi di cento anni fa: stesso formalismo, uguale flemma. I loro discorsi non riguardano il passato o il presente, ma il futuro. I ristoranti sono pieni. Le discoteche traboccano di giovani vestiti all’ultima moda occidentale. Nei furieri popolari le piccole case dei cinesi sono pulite, efficienti, ricolme di ogni aggeggio tecnologico. Indiani e malesi, tradizionalmente più poveri, non hanno problemi nell’opulenta società del primo Ministro Lee. Lee Hsien Loong, nelle interviste concesse ai giornali, dimostra ottimismo, è convinto di poter “persuadere”la gente a lavorare di più e meglio. La nuova classe di tecnocrati parla col linguaggio dei computer, promette benessere in cambio di disponibilità e fantasia.  Lee Hsien Loong e la sua equipe dei giovani leoni, sapranno fare grandi balzi in avanti come la belva del principe di Palenbang? È quel che si augurano a Singapore: malesi, cinesi, indiani, europei, razze diverse che il miracolo economico ha unito e fatto progredire in un’isola bellissima e profumata, un po’ Svizzera e un po’ Oriente?

Tre hotel di Singapore sono stati classificati fra i dieci migliori del mondo. La maggior parte degli alberghi si trova in prossimità o nei pressi di Orcadi Road (la via principale di Singapore). Ecco alcuni nomi: Hotel Shangri-la, modernissimo (e al secondo posto nella classifica mondiale), il Mandarin, il Marco Polo, il Goodwood Park, l‘Intercontinental, l’Hilton, e il Meridien sono stupendi. Ma di tutti il più affascinante resta l’ultracentenario “The Raffles”, vecchio, delizioso hotel vittoriano pieno di palme e di ricordi letterari (Kipling, Maugham, Herman Hesse e molti altri personaggi, sia politici che reali hanno soggiornato). Il direttore, un gentilissimo triestino, offre sempre un “Singapore sling” agli ospiti italiani.

A Singapore si incontrano i 14 tipi diversi di cucine asiatiche ed europee, e l’isola è un vero paradiso di buongustai. Ogni regione della Cina è presente con i propri piatti, ma altrettanto deliziose sono le specialità indonesiane e malesi (i satay, spiedini di carne alla brace), indiane (pollo tandorì), giapponesi, coreane e tailandesi. Per gli appassionati del pesce Singapore è una grande tentazione: il miglior ristorante di pesce della città è il “Garden Seafood” che si trova accanto al Goowood Park Hotel -. Nei grandi alberghi (da provare: il ristorante girevole del “Mandarin” e la braserei del “Marco Polo”) la cucina europea e molto curata. Nel “Palm Court “del “Raffles”, dove la cena è incantevole e ricorda le vecchie deliziose abitudini inglesi.

Shopping. È l’hobby nazionale e dei visitatori di Singapore. Vi sono grandi magazzini, boutiques sofisticate ed enormi shopping center dislocati in Orchard Road, la via principale e commerciale, dove si può comprare di tutto, in modo particolare l’elettronica e orologi di prestigio.  E’abitudine mercanteggiare sul prezzo di qualsiasi merce.

Testo e foto di Jimmy Pessina

 

Filed Under: Evidenza, Tuttotravel

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