L’ 8 Novembre ricorre l’anniversario di una delle più tristi pagine della storia greca moderna scritte col sangue per la conquista della libertà.
Il monastero di Arkadi, Μονή Αρκαδίου, a 23 km dall’incantevole città di Rethymnon, oggi uno dei luoghi più incantevoli e ricchi di fascino dell’isola di Creta, rigoglioso di piante fiorite, alberi da frutto, dai labirintici cortili con perimetri di archi, colonne e pergole traboccanti di tralci di vite, abbracciati idealmente intorno all’antica Chiesa, basilica a due navate, dalla stupenda facciata del XVI secolo, è stato il tragico scenario di un terribile indimenticato olocausto.
Chiamato anche “zile hakkı olan manastır”, ovvero “monastero che ha diritto alla campana”, grazie all’azione di Neòphytos Patelàri, diacono di Arkadi, presso il pascià Kyprisli, che dopo la conquista di Creta nel 1669 aveva proibito di suonare le campane in tutte le chiese e i monasteri cretesi, nel 1866 il Monastero di Arkadi fu l’estremo rifugio di uomini, donne e bambini dagli invasori turchi.

L’esercito turco, con 15.000 soldati e trenta cannoni, sferrò l’attacco contro il monastero, le cui mura erano presidiate da soli 259 uomini armati, tra cui 45 monaci e, all’interno, quasi 700 donne e bambini dei villaggi vicini, rintanati, inermi ed impauriti, nel magazzino delle merci del monastero, poi deposito di polvere da sparo, dall’inizio della rivolta.

In un solo giorno, la difesa esterna fu massacrata ed i soldati turchi circondarono l’enorme magazzino pieno di gente… quegli attimi drammatici sono stati intensamente raccontati da Victor Hugo “Alla fine, l’ultima resistenza è vinta; i Turchi vittoriosi sciamano nel monastero. Solo una stanza, il magazzino delle polveri, resta barricato, e in questa stanza, vicino a un altare, al centro di un gruppo di madri e bambini, un uomo di 80 anni, un sacerdote, Padre Gabriel, sta pregando. Fuori padri e mariti stanno morendo, ma il triste destino di madri e figli non sarà quello di essere uccisi: sono promessi a due harem. La porta, aggredita a colpi di ascia, cederà. Il vecchio uomo prende una candela dall’altare, guarda quei bambini e quelle donne, affonda la candela nella polvere da sparo, e li salva. Una terribile azione, un’esplosione, salva gli spacciati, l’agonia diventa un trionfo, e questo eroico monastero, che ha combattuto come una fortezza, muore come un vulcano”.
Nella tremenda esplosione morirono anche oltre 1.500 soldati ottomani. Il sacrificio degli abitanti dei villaggi cretesi di morire come greci liberi non fu risolutivo, ma riuscì a portare l’attenzione del mondo sulla dura lotta del popolo cretese per la sua indipendenza che, finalmente, arrivò nel 1913, anno in cui il Trattato di Bucarest pose fine alla Seconda guerra balcanica, spingendo il sultano Mehmet V a rinunciare ai propri diritti sull’isola.
Finalmente, il 1º dicembre dello stesso anno, sulla fortezza Firkas de La Canea (divenuta capitale), alla presenza del re Costantino I di Grecia e di Eleutherios Venizelos, fu issata la bandiera greca e deposta una targa di marmo: “Occupazione turca di Creta 1669-1913, 267 anni, 7 mesi, 7 giorni di sofferenza”.

Da quel giorno l’economia dell’isola iniziò progressivamente a rinascere in ogni direzione, specie la coltivazione dell’olivo, seguita dalla produzione di vino, l’attuale areale tra Heraklion ed Chania, oltre all’intensificazione di allevamenti di capre e la produzione dei formaggi tipici, come myzithra, malaka, athotyros e xygala.
Di pari passo, furono iniziate le grandi opere pubbliche, come i nuovi porto e aeroporto di Heraklion, oltre quello a Maléme. La rinascita fece fiorire anche arte, architettura, cultura e bellezza in molte città dell’isola, come testimoniano a Rethimnon le prime aperture di molti cinema, kafeneion e teatri.
Oggi, tracce dell’odiata dominazione ottomana si rinvengono ancora nelle tradizioni gastronomiche isolane, come il rito delle meze, una sequenza di antipasti tipici, eredità del Sultanato di Istanbul, di terra e di mare, serviti caldi o freddi, (foto n.5 meze), come i dakos, paximadia integrali di orzo con pomodoro, formaggio xinomyzithra, origano e olio extra vergine d’oliva, le lumache stufate alle erbe in salsa di pomodoro, i dolmades, involtini di foglie di vite farciti di riso speziato, i kalitsounia, fagottini di pasta ripieni prevalentemente di spinaci, myzithra, menta e cipolline e le spanakopitès, torta di spinaci, spezie e formaggio.

Passeggiando nel dedalo di stradine, costellato di bei negozi, taverne tipiche e ristoranti eleganti, è facile notare che molti edifici conservano ancora l’architettura tipica delle case ottomane, con la classica “stanza” esterna al primo piano tutta in legno ed i negozi al piano sottostante, che vendono kilim colorati,

spezie di ogni tipo, lampade artigianali (… dicono sempre così! ), amuleti con l’occhio di Fatima (comune anche ai greci), ed i loukoum , le tipiche gelatine a base di frutta o fiori ( di solito petali di rose).
Creta è la Grecia che seduce, inebria, affascina, ogni volta, con la vertiginosa malìa delle sue tradizioni e della sua ineffabile bellezza senza eguali!

Testo e foto di Carmen Guerriero