Anno di grandi cambiamenti, il 1951: Nilla Pizzi stravince la prima edizione del Festival della Canzone Italiana di Sanremo, mentre a Roma va in scena la Beatificazione di Papa Pio X. Il governo lo guida De Gasperi, per la settima volta, e il censimento parla chiaro: in Italia siamo poco più di 47 milioni, con un grado di analfabetismo del 12% e appena 19 milioni con un lavoro, impegnati soprattutto nelle campagne. È proprio in quelle di Trezzano sul Naviglio, campagne che rappresentano la periferia rurale di una Milano che non è ancora da bere, che inizia l’avventura della famiglia Pasini nel mondo dei salumi. A crederci per primo è Angelo, che per dare un nome all’azienda va sull’esotico che piace molto, già allora: “Salumificio Smapp”, acronimo ad effetto di “Società Milanese Alimentare Prodotti Pasini”. Tutto nasce da una tradizione, molto lombarda, legata ai salumi: in 23.863 kmq, dal nord della provincia di Sondrio a quella di Pavia, lembo più a sud, nascono salami, bresaola, coppa, mortadella, laganega e cotechini che iniziano a deliziare le tavole di tutt’Italia.
Insomma, Angelo Pasini ci crede, anche se almeno all’inizio si limita a macellare e lavorare carni suine per la GDO, la grande distribuzione organizzata, quando ancora i supermercati non si chiamavano così. Da qui in poi, sono anni e decenni di lavoro, sudore e fatica, cose che non spaventano mai la gente di campagna, per arrivare puntuale alla svolta degli anni Ottanta, un vero giro di boa per l’azienda di Trezzano sul Naviglio, che abbandona la macellazione per concentrarsi unicamente sulla trasformazione. Nulla cambia in realtà: le materie prime sono le migliori in circolazione, ma la voglia di crescere e aprirsi al futuro entrano in azienda con Luigi e Giovanni, i due figli di Angelo, che senza dimenticare i supermercati partono alla conquista di una clientela diversa, fatta bar, ristoranti e chef. Passano dieci anni e il calendario segna i Novanta, quelli di internet e del computer, un decennio forse meno “magico” del precedente ma comunque indimenticabile. Una definizione che vale anche per i Pasini, che salutano l’arrivo in azienda della terza generazione, Filippo e Andrea, con Angelo che guarda soddisfatto i nipoti conquistare uno dopo l’altro gli scenari internazionali, trasformando una piccola azienda di campagna in uno dei simboli assoluti delle specialità gastronomiche lombarde. Ma il tempo è un implacabile batterista rock, e le nuove generazioni dei Pasini portano in dote tecnologie da nativi digitali e idee sempre più fresche: Daniela, figlia di Giovanni, arriva nel 2014 con un’idea che manda in soffitta l’antica “Smapp” per salutare il terzo millennio con un secco e limpido “Salumi Pasini”. Altro da aggiungere, non c’è, a parte adeguarsi in fretta ai più recenti trend di un mercato che non ammette ritardo e impone nuovi canali come l’e-commerce, impensabili fino a pochi anni prima.
Nient’altro che i capitoli di una storia tipicamente italiana, fatta di operosità, schiene spezzate, entusiasmo, fantasia e tanta qualità, esattamente quello che negli stabilimenti Pasini non è mai cambiato, alla faccia di ogni possibile declinazione di byte. Una storia che ha soffiato sulle sessanta candeline, messe insieme una sull’altra tenendo sempre un occhio al futuro e l’altro al passato, rispettando le antiche e tradizionali ricette di Angelo, colui che per primo ha creduto che i Pasini potessero lasciare un segno.
Oggi, dagli stabilimenti di Trezzano sul Naviglio escono autentiche “collezioni” di salumi: in altro modo sarebbe difficile definire il bouquet di sapori e profumi che sembravano smarriti nella memoria ingiallita delle campagne. Dal “Salame Campagnolo”, classico dei classici, creato con carne di suini italiani e lasciato stagionare senza fretta, al “Salame Muletta”, dalla forma irregolare, ancora oggi legato a mano e appeso per 90 giorni, prima di vedere la luce. Ancora il “Salame cotto”, i “Salamini pic-nic”, il “Bacon”, che viene salato e massaggiato a mano, la “Pancetta steccata”, che matura chiusa fra due stecche di legno, il “Cotechino” e lo “Zampone”, il “Guanciale”, la “Bresaola” e lo “Speck”, scivolando poi in un’infilata di specialità parmensi come il “Culatello”, a cui servono fra i 10 ed i 14 mesi di stagionatura, il “Fiocco”, il “Prosciutto Crudo” e la “Coppa”.
L’ultimo passaggio, il più recente, ha un nome e cognome decisamente conosciuti: Davide Oldani. Chef fra i più affermati, autore della “Cucina Pop” e milanese anche lui, che ha collaborato con gli eredi di Angelo Pasini ad un progetto ambizioso: rivisitare ricette millenarie della gastronomia lombarda fino a creare “Salumi Pasini-Foo’d”, una capsule di prodotti realizzati utilizzando rigorosamente procedimenti antichissimi ma filtrati dalla fantasia di chef Oldani. Una collezione che si compone di quattro prodotti esclusivi: “Driss”, un salame di carni bovine e suine insaporite con pepe nero pestato a mano e insaccate in budelli diritti, il “Grass”, il lardo, prodotto da una sottospalla di suino di prima scelta ammorbidito con massaggi manuali ma riletto con sentori di limone che cambiano prospettiva. La “Schisc”, la tradizionale bresaola, ottenuta dal sottofesa di suino e massaggiata a mano prima di insaporirla con vino rosso, per concludere con il “Cott”, un prosciutto cotto con scorza di limone, cotto a vapore lentamente, perché per fare le cose buone non bisogna mai aver fretta. Lo diceva sempre nonno Angelo.
Germano Longo