Squali marci, tour de force di 7 ore a tavola, diete per sopravvivere e minacce di morte.. bella la vita dei critici enogastonomici! Leggere per credere.
Interessante e ricco di spunti l’incontro con diversi critici enogastronomici dal titolo “L’arte di mangiare per lavoro” che si è tenuto giovedì 20 febbraio al Festival del Giornalismo Alimentare.
Durante il panel sono intervenuti Luca Iaccarino giornalista per “La Repubblica” e “Vanity Fair”, Eleonora Cozzella di “La Repubblica”, il medico nutrizionista Federico Ferrero e il famoso giornalista e critico enogastronomico Edoardo Raspelli.
Eleonora Cozzella giornalista e autrice, tra le altre cose, dei libri “Pasta Revolution” e “La carbonara perfetta” ha esordito mostrandoci le “scioccanti” immagini di alcuni campioni americani di Food Competition. Si tratta di persone che esercitano la mandibola, dilatano lo stomaco, si allenano per resistere ai conati di vomito e si preparano per queste aberranti competizioni con programmi di training studiati come quelli degli atleti agonisti.
Si pensi che il famoso Joy è riuscito ad ingurgitare ben 74 panini con wurstel e una sua collega ha vinto un’altra di queste orribili competizioni dopo aver mangiato 480 ostriche.
Ma per quale motivo Eleonora ci ha fatto vedere queste immagini e ci ha parlato di loro?
Per spiegarci e per sottolineare che “Chi mangia per lavoro non è questo!“.
Però attenzione: chi mangia per lavoro non è nemmeno colui che assaggia piccolissime porzioni.
“Per lavoro ci troviamo spesso da soli al ristorante. A volte ci vengono servite piccole porzioni perché fanno parte di un lungo menù degustazione con tante portate.” afferma Eleonora “Per questo vi dico che noi non siamo quelli che si affogano di cibo, ma nemmeno quelli che vogliono avere fame dopo una cena al ristorante. Durante le nostre trasferte enogastronomiche ci capita di visitare più ristoranti in un giorno e di passare anche più di 7 ore a tavola per diversi giorni di fila. Ecco perché mangiare per lavoro diventa un gesto atletico. Ci vuole predisposizione, talento, allenamento, curiosità, voglia di provare tutto, una concentrazione mentale elevata e spirito di sacrificio.”
“Non tutto ciò che mangiamo piace al nostro palato. Ma quando l’interesse per il cibo va oltre il sapore a volte trovi buono anche ciò che non avresti scelto.” E a questo proposito Eleonora ci racconta l’aneddoto di quando ha assaggiato il Rotten Shark ovvero lo “squalo putrefatto”.
“Questo piatto tipico islandese, denominato in loco Hákarl, ha odore di lettiera satura in cui è stata versata ammoniaca. Mi è venuta la curiosità di provarlo quando un taxista mi ha detto *ho 70 anni ma ne dimostro 50 perché ne mangio un pezzo ogni giorno*.
Ma perché queste popolazioni mangiano l’Hákarl? Perché da generazioni vanno a caccia di squali, e dopo essere andati incontro a diversi pericoli per pescarlo, non possono mangiarlo immediatamente perché appena catturato non è commestibile per la concentrazione troppo elevata di acido urico. I pescatori dei paesi nordici hanno però riscontrato che sotterrandolo per 6 mesi e riesumandolo, avrebbero potuto non sprecarlo, perché grazie a questo trattamento lo squalo non era più velenoso.
“D’altra parte è ben noto che anche noi italiani non siamo da meno, basti pensare che in molte zone il ‘formaggio con i vermi’ è considerato una vera e propria prelibatezza (in Sardegna si chiama Casu Marzu).” Eleonora ci consiglia, per approfondire il tema, una visita al Disgusting Food Museum di Stoccolma.
“Mangiare per lavoro è apertura mentale. Non ritenere che siamo per forza i migliori perché i diversi popoli hanno trovato un modo per sopravvivere attraverso i loro piatti più insoliti.” conclude Eleonora.
Luca Iaccarino, Food editor della Lonley Planet e giornalista per Vanity Fair ci racconta che mangia fuori casa circa 240 volte all’anno.
La sua abilità è il “Surviving Gourmet” ovvero chiarisce: “Quelli che mangiano per lavoro devono tentare di non morire nell’intento“.
Luca racconta la sua esperienza, di come ad un certo punto della sua carriera ha sentito l’esigenza di dover fare i conti con la salute.
“Ho perso 10 kg, la dietologa mi ha detto, il tuo corpo è come quello di un atleta e ha bisogno di alternare gara, riscaldamento e riposo. Mi sono reso conto che l’attività gastronomica va gestita.
Soprattutto con l’età. A 20 anni va tutto bene, a 47 lo sforzo sugli organi va controllato. Alternanza, gara, allenamento riposo è indispensabile. Il lavoro è la gara. La mia mente è stata aperta da questo messaggio, oltre che dalle parole cardine come obeso, infarto, morte. Ho dovuto impegnarmi molto seriamente per poter continuare a lavorare senza pregiudicare la mia salute.” Il racconto di Luca è stato brillante e ha strappato molte risate al pubblico.
Dopo l’intervento di Luca Iaccarino è stata la volta di Federico Ferrero, medico e ricercatore del Politecnico di Torino, conosciuto anche ai più per la sua vittoria alla terza edizione di MasterChef e per la rubrica gastronomica DoctorChef uscita per un periodo su “La Stampa”.
Il dottor Ferrero ha esordito sottolineando che per parlare di critici enogastronomici intesi come atleti bisogna distinguere fra dilettanti e professionisti. Un professionista ha un team alle spalle e come tale segue uno schema di regole ben preciso come fanno i food competitor americani.
Queste persone lavorano e lo fanno seriamente, il problema sono le persone che li seguono e vanno ad assistere alle loro sfide pagando un biglietto e provando godimento nel guardali. Il dottor Ferrero non ha mezzi termini per lui assistere a questi spettacoli è una sorta di “pornografia” o “Voyeurismo”.
Inoltre Ferrero asserisce che chi fa il critico di mestiere dovrebbe sempre essere seguito in termini di salute. Questo sia per il suo benessere, sia dal punto di vista del miglioramento della percezione dei sapori. Infatti con l’eccesso di grasso corporeo i sapori sono percepiti in misura minore.
“Un critico, come un cane da tartufo, dovrebbe andare a degustare con un po’ di fame. Chi fa questo per lavoro e ha un naso raffinato, dovrebbe assaggiare alle prime luci dell’alba e senza aver mangiato la sera precedente. Le cene che durano più di 4 ore non hanno senso dal punto di vista gastronomico. Funzionano solo a livello conviviale. Per mantenere la percezione dei sapori più a lungo i cibi vengono infarciti di zucchero, grassi e sale. E questo lo sanno bene i fast food e chi produce cibi industriali.” Ferrero conclude dicendo che “L’eccesso di cibo non rende felice nessuno. La soddisfazione sta nella scelta. Occorre insegnare questo agli chef in prima battuta e in seguito al consumatore.”
A concludere il panel è il giornalista Edoardo Raspelli, che si presenta al pubblico con molta ironia. Raspelli esordisce dicendo che sicuramente lui dev’essere “perverso”, secondo la teoria del dottor Ferrero. E per evidenziare maggiormente questa sua prerogativa snocciola il menù di numerose portate che ha mangiato con molta soddisfazione il giorno prima a pranzo e aggiunge con un sorriso malizioso anche l’elenco di piatti assaporati la sera presso un altro locale.
“Da bambino mi chiamavano Mauthausen, ho cercato di migliorare.” Il pubblico si diverte molto ad ascoltarlo. “Devo a Cesare Lanza il mio successo come critico gastronomico italiano. Prima la critica era intesa diversamente, si recensivano solo le cose buone. Cesare mi ha obbligato a fare recensioni anche di ristoranti cattivi. Vai al ristorante, mangia, paga e scrivi. Noi paghiamo te.”
“Il Faccino Nero, la rubrica del Corriere dell’informazione, dove raccontavo cosa mi era capitato nei vari ristoranti, mi è costato una decina di querele e una minaccia di morte. Per fortuna il direttore mi ha sempre coperto. Quando si recensisce un ristorante occorre provare un piatto, scegliere un vino, controllare il bagno. Raccomando ai colleghi giornalisti di comportarsi da cronisti. La gente vuole sapere altre cose oltre al sapore dei piatti, sono importanti l’atmosfera, l’ambiente, il servizio, la cordialità, il parcheggio.” conclude Raspelli.
Grazie a questo panel abbiamo esplorato il mondo di chi mangia per professione e capito quanto lavoro e quanto impegno ci sia dietro ai loro commenti.
Laura Norese
Credit Photo Laura Norese