
I ricordi giovanili che mi ispira il ristorante Monferrato, ai piedi della verde collina di Torino, sono ancora ben fissati nella mia mente e anche nel mio cuore, perché fin da bambino lo frequentavo con i miei genitori e i miei cari nonni anche se, per la mia famiglia, non era così usuale andare al ristorante in Torino, ci si muoveva solo per alcuni tra quelli “importanti” perché era più frequente la gita fuori porta nell’astigiano o nell’albese. Poi, negli anni, frequentando altri locali e altri territori, si sono persi i riti e le abitudini familiari e i pranzi e le cene in questo elegante luogo della media borghesia torinese sono diventati molto più sporadici.

Ritrovarsi oggi e vedere che al Monferrato, anche se da circa un anno ha cambiato proprietario, quasi nulla è cambiato dall’ultima volta in cui ci siamo stati – sarà passato più di un lustro – è comunque rassicurante…purtroppo ho raggiunto un’età in cui ho assoluto bisogno di avere le mie certezze e mi conforta sapere che quasi tutti i classici locali che, prima da ragazzo e poi da adulto, ho sempre frequentato come il caffè Bicerin accanto alla chiesa della Consolata, Baratti & Milano, Mulassano, il Del Cambio, tutti e tre in centro, Giudice nella verde collina torinese e, appunto, il Monferrato, in Borgo Po, sono ancora quasi tutti aperti, più o meno immutati nella loro storicità (anche se rimpiango tre memorabili ristoranti ormai chiusi da anni che hanno fatto la storia della ristorazione torinese: la Vecchia Lanterna del grande Armando Zanetti, La Smarrita di Moreno Grossi e i Due Lampioni dell’altrettanto grande Carlo Bagatin che, ricordo come fosse ieri, un giorno per pranzo mi fece sedere al tavolo con un signore un po’ austero, con baffoni grigi e un sigaro in mano, era Mario Soldati…a momenti svengo!).
Anni fa in Torino proliferavano i ristoranti con cucina toscana e veneta, frutto dello spostamento di bravi cuochi al seguito dei lavoratori del nord est che, insieme alla forte immigrazione meridionale, avevano trovato lavoro alla FIAT.
Il Monferrato, invece, era uno dei pochi ristoranti di cucina davvero piemontese. Una certezza in fatto di battuta al coltello e vitello tonnato, plin e agnolotti, brasati e finanziera, funghi e fritto misto e un carrello dei dolci che era vasto come un banco al mercato talmente era ricco, dalla panna cotta al bunet, dalla zuppa inglese alle crostate, alla frutta sciroppata e a millanta golosità.
Mi ricordo anche dessert che oggi si vedono molto meno nei locali, dei quali si è un po’ persa l’abitudine…la pannosa Saint Honoré, la coloratissima zuppa inglese e altri che non si trovano più nemmeno nelle trattorie di paese, le più restìe a modificare le abitudini e le proposte.

Ecco, entrando qualche giorno fa al Monferrato ho ritrovato tutto, le pareti bianche, gli ambienti con le sedie chiare, i tavoli con le candide tovaglie – ormai quasi scomparse anche nei ristoranti stellati – la mise en place con gli eleganti piatti Rosenthal e pure i quadri e la collezione di menù storici di fine ottocento (ma, purtroppo, fra un po’ la vecchia proprietà se li porterà via). Una bella sensazione di ambiente pulito, con un’eleganza priva di ridondanza, quell’understatement tipico torinese, che sotto sotto ha quell’orgoglio sabaudo che si compiace, e molto, per aver realizzato qualcosa di bello, ma non lo vuole far sapere troppo in giro.

E rientra appieno in questo “stare sotto traccia” anche la nuova proprietà di questo locale “orgogliosamente piemontese” dal 1820, la Torino Society, fondata da Angelo Muratore, grande esperto di marketing riconvertito al food in modo importante con acquisizioni e gestioni di locali esclusivamente in Torino, dall’elegante Pasticceria Beatrice a un paio di locali con cucina di pesce – Esca Bistrot di Mare e Wallpaper Lounge Bistrot – a uno di cucina sicula, Fratò Sapori di Sicilia, con l’idea di offrire ai torinesi un ventaglio di locali che coccolino il cliente con buon cibo, ottimi vini e ambienti caldi e rassicuranti, facendolo sentire come a casa in ossequio al claim del loro sito “The art of Hospitality”.

Per gestire tutto ciò Angelo Muratore ha chiamato un professionista, lo chef Federico Allegri, formatosi in cucine importanti (La Torre del Saracino del bistellato Gennaro Esposito, il Vintage 1997 di Umberto Chiodi Latini – il più vecchio stellato torinese -, Magorabin con Marcello Trentini, altro stellato a Torino e poi Bangkok, Pechino, Emirati Arabi e paesi limitrofi), un grande executive chef, quindi, che ha non solo il compito di riportare in auge questo locale cucinando i grandi piatti della tradizione, ma di selezionare accuratamente i fornitori per mantenere un livello qualitativo molto alto.

Tra i piatti che abbiamo provato ci ha fatto davvero piacere gustare un’ottima insalata russa, un tenero vitello tonnato al punto rosa comme il faut, un graditissimo assaggio di finanziera – cibo povero e molto saporito, cucinato con frattaglie di pollo e di vitello, carne di vitello e funghi, sfumato con il Marsala o l’aceto e divenuto alla fine dell’Ottocento una pietanza di tendenza tra i borghesi e i funzionari torinesi -.
Si è poi passati a degli squisiti agnolotti, ad un brasato molto ben fatto e talmente tenero “…che si taglia come un grissino”, come recitava quella famosa pubblicità.

Impossibile, però, rinunciare ad un assaggio della storica grissinopoli di vitello – quasi un signature per questo locale – dal giusto spessore e assolutamente non battuta, impanata nei grissini sbriciolati grossolanamente e dorata nel burro chiarificato. Una goduria!

Un sorriso ha incorniciato il nostro volto quando verso fine pasto abbiamo visto il carrello dei dolci…era ancora l’originale di decenni fa! Pieno di golosità proprio come allora, degna conclusione di un pranzo che ha celebrato la cucina piemontese con piatti davvero ben fatti, senza innovazioni fuori luogo, ma come tradizione vuole.

Lo chef Federico Allegri, ha poi spiegato il suo pensiero, ossia l’idea di riportare al posto che merita la cucina classica torinese e piemontese, assicurandoci che al sabato e domenica, in stagione, non mancherà mai il fumante e scenografico carrello dei bolliti, specialità gastronomica rappresentativa della vera ristorazione torinese: 7 tagli di carne diversi – scaramella, brutto e buono, testina, gallina, lingua, coda e cotechino – accompagnati dalle verdure e dalle classiche salse, maionese, salsa verde, salsa rossa e rafano.
E non mancherà neanche il carrello dei formaggi, due proposte che oramai si trovano quasi solo più nei ristoranti della provincia torinese o delle altre province piemontesi.

Dal menù, oltre ad altri piatti storici del locale come la battuta carne cruda, i capunet – involtini di verza ripiani di carne – le lumache, i plin, il risotto ai funghi, il filetto alla Rossini e i funghi fritti, si può gustare anche qualche specialità di pesce: la sogliola alla mugnaia, in carta da oltre 50 anni, e quindi, a buon diritto, un “classico” del ristorante, e lo spaghetto pane, burro e acciughe o le immancabili acciughe con pane tostato, bagnetto verde e burro di normandia.

E poiché, come riportato anche sul loro sito, “un pasto senza vino è come un giorno senza sole” – probabilmente la massima più famosa del gastronomo Brillat-Savarin – la loro selezione di cantina punta con forza su un’offerta di vini piemontesi, con picchi di eccellenza selezionati anche nel territorio della provincia torinese anche se offre una soddisfacente scelta tra oltre 600 etichette nazionali e internazionali ribadendo, anche con questa scelta, la forte volontà di ritornare ad essere un punto di riferimento in città per gli amanti dell’autentica cucina torinese.
Ristorante Monferrato
- Via Monferrato 6, 10131 Torino (TO)
- Tel. 011 8190661
- www.ristorantemonferrato.com
Paolo Alciati & Enza D’Amato