Il 27 ottobre Torino ha ospitato la terza tappa di Percorsi di Gusto – Un viaggio tra Roma e Torino, il tour di cene degustazione nato dalla collaborazione tra Gambero Rosso e Roberto Sarotto, pensato per raccontare le eccellenze enogastronomiche italiane attraverso l’incontro tra chef e produttori.
In ogni appuntamento, i vini dell’azienda vengono abbinati ai piatti ideati dagli chef dei ristoranti coinvolti, dando vita a esperienze sempre nuove e sorprendenti.
Per questa tappa, il viaggio ha fatto sosta da Casa Amélie, il ristorante gourmet dello chef Guido Perino nascosto tra le vie del Quadrilatero Romano. «Questa serata è pensata per far conoscere i nostri vini, quelli che consideriamo i prodotti di punta della cantina – racconta Elena Sarotto –. Non abbiamo un “figlio preferito”: ogni etichetta ha il suo momento, che si tratti di un vino da tutti i giorni o di una riserva».
In abbinamento, i piatti raccontano la creatività e la passione dello chef Guido Perino, che unisce la tradizione della sua Napoli alla realtà torinese in un equilibrio fatto di autenticità e ricerca. La genuinità delle materie prime e la spontaneità nella cura dei dettagli rendono ogni portata un’esperienza sincera, dove pochi ingredienti bastano a esaltare il gusto e a creare un legame diretto tra cucina e territorio.
Come pietanza di apertura è stato scelto il baccalà con nocciole e arance, accompagnato da uno Spumante Metodo Classico Alta Langa DOCG Pas Dosé 2018, un 100% Chardonnay affinato per oltre 50 mesi sui lieviti. Dal naso elegante e complesso, al palato è morbido, avvolgente e bilanciato da una piacevole freschezza e da una sottile nota sapida. È l’unico Alta Langa prodotto dalla cantina, una versione su cui l’azienda ha scelto di concentrare tutta la propria attenzione, pur realizzando anche altri spumanti con uvaggi e affinamenti differenti.
Si è poi proseguito con gamberi, maionese in salsa verde e peperoni, abbinati al Gavi del Comune di Gavi “Meera” 2024, una delle etichette più recenti della gamma, già premiata con i Tre Bicchieri del Gambero Rosso 2026. È un Gavi più strutturato rispetto alla versione classica, dal bouquet fruttato e dal gusto fresco ed equilibrato, arricchito da una morbidezza che gli conferisce corpo e rotondità.
Come prima portata, lo chef Perino ha proposto tortelloni di genovese alla napoletana e salsa al pepe nero affumicato, accompagnati dalla Barbera d’Alba “Elena” 2022. È una delle etichette più longeve della cantina, prodotta da oltre vent’anni a partire dalla prima annata del 2004. Una Barbera in purezza affinata un anno in barrique, che al naso sprigiona un profumo intenso e complesso, con note di frutta matura, mentre al palato rivela una struttura solida e ben equilibrata, in cui acidità e tannini si fondono con armonia. Morbida, vellutata e di grande ricchezza gustativa, è un vino appagante e dal carattere deciso.
Si è poi passati al brasato di manzo all’Aglianico con cime di rapa e bufala, servito con il Barolo Riserva “Audace” 2017, una delle etichette più rappresentative dell’azienda. Proveniente da un singolo vigneto, il Bergera Pezzole nel comune di Novello, il vino incarna la filosofia di Sarotto: un Barolo moderno, che guarda avanti senza rinnegare la tradizione. Elegante e vigoroso, con profumi raffinati di legno e mandorla, al palato si presenta lungo, vellutato ed equilibrato, sostenuto da tannini compatti e da una struttura capace di evolvere nel tempo.

In chiusura, il bigné al tiramisù dello chef Perino è stato servito insieme al Moscato d’Asti “Solatìo” 2024, il grande classico del territorio. Proveniente in gran parte dal vigneto Sorì Ciabot di Neviglie, è un vino dolce e fragrante, con una leggera effervescenza che ne esalta la freschezza. Aromatico e piacevole, è stato l’abbinamento perfetto per concludere la serata.
Al termine della degustazione, Roberto Sarotto ha ripercorso la storia e la filosofia che guidano la cantina. Fondata nel 1820, quando Giuseppe Sarotto, capostipite della famiglia, si trasferì da Barbaresco a Neviglie, l’azienda nasce come piccola realtà a conduzione familiare. Giuseppe avviò la produzione vitivinicola, poi portata avanti dal figlio Giovanni e dal nipote Luigi Giovanni, concentrandosi inizialmente sul Dolcetto, venduto sul mercato locale e già allora esportato in Inghilterra.
Negli anni Quaranta, con la Seconda Guerra Mondiale e la diffusione della fillossera, l’attività subì un brusco arresto. Fu Angelo Sarotto, con il sostegno della moglie Maria, a rilanciarla, ampliando le coltivazioni e introducendo nuove varietà come Moscato, Freisa e Barbera, che divennero le basi della futura produzione.
Trent’anni fa, Roberto Sarotto ha raccolto quell’eredità e deciso di spingersi oltre, ampliando i confini aziendali con nuovi vigneti a Barolo, Novello, Barbaresco, nel Monferrato e infine a Gavi, costruendo un mosaico produttivo che oggi rappresenta tutte le principali denominazioni piemontesi.

Una crescita guidata non da opportunità commerciali, ma da una visione precisa: evolvere nel rispetto dell’identità, investendo in ricerca e sperimentazione. Oggi la cantina conta circa cento ettari distribuiti tra Langhe, Monferrato e Gavi, con processi digitalizzati che permettono di monitorare ogni fase produttiva e mantenere costante la qualità.
Per Sarotto il vino deve essere armonico e autentico, ma mai banale. Ama i vini con personalità, capaci di bilanciare spigoli e contrasti in un equilibrio naturale. Devono essere sani, genuini, nati da uve integre e da una vinificazione pulita. Il suo principio è semplice: produrre vini che lui stesso vorrebbe bere, digeribili e privi di eccessi.
È una filosofia condivisa con un team giovane e appassionato, con cui lavora in un continuo scambio tra esperienza e nuove idee. I vini di Sarotto riflettono questa visione: eleganti, potenti e longevi. Non cercano la leggerezza, ma la profondità. Sono vini che evolvono nel tempo, proprio come il territorio da cui nascono, dalle Langhe al Gavi, e raccontano un Piemonte autentico, capace di rinnovarsi senza mai perdere la propria identità.
Giulia De Sanctis






